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Mario Sechi: Le menzogne dei Dem, da Joe Biden fino a Mattarella
05-07-2024, 06:47
Cari lettori, qui sopra potete ammirare l'ultima (formidabile) copertina dell'Economist. Il settimanale britannico riassume così la grave e straordinaria condizione degli Stati Uniti d'America, il seal, lo stemma del Presidente piazzato su un deambulatore, e il titolo No Way to Runa Country, non è il modo di governare un Paese. Il servizio all'interno è ancora più diretto, nel caso qualche anima bella abbia dei dubbi sull'oggetto e soprattutto il soggetto: “Il presidente e il suo partito si presentano come i salvatori della democrazia. Le loro azioni dicono il contrario”. Si parla di Joe Biden, di cui anche l'Economist (insieme al New York Times e a tutta la smemorata famiglia dei media democratici) chiede il ritiro dalla corsa per la Casa Bianca dopo il disastroso dibattito con Donald. La sequenza di appelli e impietosi ritratti di Biden pubblicati dai giornali (cose che qui farebbero gridare al golpe sovranista) segnala la burrasca, il problema di una democrazia - la più grande, il faro dell'ordine liberale che ha mancato di onestà nel raccontare lo stato di salute del presidente, nascondendo con una serie di menzogne seriali l'incapacità di Biden di affrontare la campagna presidenziale. Questa crisi non è una questione di storytelling, non riguarda solo la narrazione sui media, è un fatto istituzionale grave perché tutto il partito ha sostenuto la tesi di Joe l'invincibile. Biden è l'uomo che ha i codici della valigetta nucleare, è il Commander in Chief, il suo stato psico-fisico è una questione di sicurezza nazionale che riguarda tutti noi, non solo gli americani. Il capolavoro del clan democratico e la copertina dell'Economist sono un chiodo ben piantato sul muro per appendere un quadro più ampio che abbraccia il paesaggio delle democrazie. Torniamo per un istante in Italia, al discorso del presidente Sergio Mattarella in apertura dei lavori della Settimana sociale dei cattolici. I “faristi” del Quirinale, sacerdoti autoproclamati dell'interpretazione autentica del pensiero del capo dello Stato sui giornali, presentano l'intervento del presidente come un “monito” contro il governo, anzi un vero e proprio “altolà” alla maggioranza. È così? Basta leggerlo per capire che l'intervento di Mattarella non è rivolto “a una parte” ma a tutti, in questo caso con più enfasi rispetto a un'esternazione occasionale perché si tratta di un testo meditato che ha il tono e l'argomentazione tipici di una lectio sulla politica, dunque necessariamente è uno scenario “di sistema”. Siamo di fronte al solito tentativo dei “faristi” di farsi anche “giacchettisti”, tirano la giacca del presidente, tentano di farne una figura di parte e, come ho scritto più volte, è un tentativo che va respinto, mentre va accolto il suo messaggio. Quando il presidente afferma che «una democrazia “della maggioranza” sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione» dice una cosa che nessuno può contestare. Dunque torniamo alla domanda: la democrazia è in crisi? Sì, lo è in tutto l'Occidente, ma con profonde differenze tra i vari Paesi, dettagli che i gazzettieri dimenticano perché hanno una cultura lontana da quella liberal-democratica e dunque non apprezzano l'avviso di Winston Churchill: «Se è vero che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate finora, è bene che diventi un vizio, nella speranza che sia difficilissimo poi smettere». A noi quel vizio piace - come tanti altri che Sir Winston coltivava senza risparmio- si basa sul principio di maggioranza che è tutelato (anche dai suoi eccessi) dalla legge, questo è il «limite» che vale per tutti, compresa la minoranza che non può interpretare il suo ruolo in soggetto che co-governa o ha diritto assoluto di veto. L'intervento di Mattarella va difeso dagli scriba che ne manipolano il pensiero. Essi confidano nel bon ton del Quirinale che raramente interviene per confutare malevole interpretazioni dannose per il sistema. Ieri il Colle è intervenuto nelle forme appropriate, con il giusto equilibrio ma in maniera netta e definitiva. Le interpretazioni che vogliono spostare a sinistra l'asse del Quirinale sono farlocche. L'Italia ha problemi istituzionali noti da decenni, si sono esercitate sul tema varie commissioni bicamerali, sono fatti parlamentari cristallini entrati nella storia politica. Ma se guardiamo il panorama dell'Europa, il nostro Paese - che ha una tradizione di governi a consumo rapido come nessuno- è quello che in questo momento storico ha uno scenario di stabilità rara, sancita dal voto, sottoposta alla prova della democrazia: la maggioranza ha vinto le elezioni Europee, il centrodestra ha incardinato le riforme in Parlamento, dove sono ampiamente discusse, approvate e nel caso bocciate (o abbandonate o rinviate) il presidente della Repubblica svolge la sua funzione al vertice delle istituzioni, la Corte Costituzionale esamina le leggi e fa chiarezza dove è necessario. In un quadro tremolante, l'Italia ha un'immagine ben più chiara e rassicurante rispetto ad altri Paesi di cui si magnificano le progressive sorti. La Francia, dove domenica si vota per il ballottaggio, offre un esempio di sistema in piena “nevrosi” (l'immagine è di un grande scrittore francese, Michel Houellebecq): un presidente con i consensi a picco, sconfitto due volte nel voto in un mese, che ha sciolto l'Assemblea nazionale e ha davanti un potenziale quadro di ingovernabilità. È la cronaca a raccontare che il malato grave è a Parigi come a Washington (culle delle rivoluzioni e della democrazia). La Germania non sta meglio, ha un partito di estrema destra che ha superato i Socialdemocratici e il cancelliere Olaf Scholz ha un'economia indebolita dalla fine della «politica del tubo» con la Russia e dalle tensioni tariffarie con la Cina. Se Sparta piange, Atene non ride. E se andiamo oltre le Colonne d'Ercole, la Statua della Libertà ha l'espressione di Joe Biden che guarda nel vuoto.
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