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Montesano: processo alle Brigate Rosse, i parenti delle vittime esclusi dalle parti civili
27-09-2024, 11:39
Bruno D'Alfonso era un bambino di 10 anni quando suo padre, il carabiniere Giovanni, il 5 giugno 1975, morì nella sparatoria di cascina Spiotta, in provincia di Alessandria, nell'operazione per liberare l'industriale Vittorio Vallarino Gancia, il re dello spumante rapito dalle Brigate Rosse. Si deve a lui, grazie a un esposto presentato nel 2021, se ieri davanti al Giudice dell'udienza preliminare di Torino ha mosso i primi passi il processo in cui- a quasi cinquant'anni dai fatti - sono imputati quattro brigatisti: Renato Curcio, Mario Moretti, Pierluigi Zuffada e Lauro Azzolini. Ieri mattina nel capoluogo piemontese - alla presenza, in aula, del solo Zuffada l'udienza è stata dedicata alle questioni procedurali e alla costituzione delle parti civili. A questo proposito, a fare rumore è stato il rigetto, da parte del giudice, della richiesta presentata dall'Associazione italiana delle vittime del terrorismo e dell'eversione - Aiviter- oggi presieduta da Roberto Carlo Della Rocca, nel 1980 giovane dirigente Fincantieri ferito da un commando delle Br a Genova. Libero ha contattato il presidente dell'Associazione, costituita il 20 marzo 1985 a Torino alla presenza anche delle vedove di Fulvio Croce (presidente dell'Ordine degli avvocati di Torino, assassinato nel 1977) e di Carlo Casalegno (vicedirettore della Stampa, ucciso dai terroristi il 29 novembre 1977), per conoscere le motivazioni di questa clamorosa esclusione. «Avevamo chiesto di costituirci parte civile», premette Della Rocca, «siamo sorpresi che non sia stata accolta. Pensavamo che fosse un fatto scontato». L'aspetto più sorprendente della vicenda, tuttavia, è la motivazione alla base del rifiuto: «Ci è stato comunicato che non essendo la nostra Associazione costituita nel 1975, anno in cui è avvenuto l'atto terroristico, non possiamo essere considerati, tecnicamente, beneficiari». Della Rocca non riesce a nascondere l'amarezza: «Non siamo forcaioli, ma in uno Stato di diritto la giustizia è dovuta». L'Aiviter rappresenta attualmente oltre 500 vittime di ogni tipo di terrorismo («dirette o dei loro familiari, siamo l'Associazione più rappresentativa a livello italiano e, forse, europeo»). Eppure non è bastato. «Mi chiedo: un'Associazione che tutela e rappresenta le vittime nasce prima o dopo gli attentati?», si sfoga Della Rocca; «un'associazione che assiste i feriti e custodisce la memoria dei caduti può mai costituirsi prima dei fatti di sangue?». Ciò che ha fatto l'Aiviter, nata sull'onda degli omicidi che hanno funestato Torino a partire dalla seconda metà degli anni Settanta (il primo presidente è stato Mario Puddu, esponente torinese della Dc colpito con 14 proiettili la sera del 13 luglio 1977; il secondo Giovanni Berardi, figlio di Rosario, poliziotto colpito a morte il 10 marzo 1978; il terzo Dante Notaristefano, avvocato, funzionario del ministero della Giustizia, illeso da un tentativo di attentato il pomeriggio del 20 aprile 1977). «Non mi piace entrare nei tecnicismi, può darsi che la decisione del giudice sia giustificata. Come cittadino, però, non posso pensare che siano ignoranti i princìpi del buonsenso», osserva Della Rocca. Anche perché, denuncia, in casi analoghi la decisione del giudice è stata opposta a quella adottata per l'Aiviter. Ad esempio per Libera, il «cartello di associazioni contro tutte le mafie» di don Luigi Ciotti nato nel 1994. Sul sito di Libera, a proposito della costituzione di parte civile nei vari procedimenti in Italia, si legge: «Il 2 febbraio 2011 nel processo contro Virga e Mazzara, imputati dell'omicidio di Mauro Rostagno, Libera inizia il suo viaggio nelle aule dei tribunali». Rostagno è stato assassinato il 26 settembre 1988.
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