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Panetta: "I migranti? Servono regolari e integrati"
22-08-2024, 06:51
Immigrazione sì, ma regolare per puntellare la picchiata demografica italiana e sostenere (facendo leva su un preciso accordo europeo) la crescita economica così da dare una risposta concreta alla spinta migratoria che bussa dalle porte sud del nostro continente. Il governatore della Banca d'Italia, Fabio Panetta, indica la rotta per agganciare la crescita economica che da un un po' di tempo latita. Il numero uno di Palazzo Koch sottolinea per l'ennesima volta che «che nei prossimi decenni si ridurrà il numero di cittadini europei in età da lavoro e aumenterà il numero degli anziani». Una «dinamica» che « rischia di avere effetti negativi sulla tenuta dei sistemi pensionistici, sul sistema sanitario, sulla propensione a intraprendere e a innovare, sulla sostenibilità dei debiti pubblici». Insomma, non solo l'Italia ma tutto il mondo occidentale deve rivedere la rotta: «Per contrastare questi effetti», scandisce intervenendo al tradizionale Meeting di Cl a Rimini, «è essenziale rafforzare il capitale umano e aumentare l'occupazione di giovani e donne, in particolare nei Paesi, tra cui l'Italia, dove i divari di partecipazione al mercato del lavoro per genere ed età sono ancora troppo ampi». Per supplire alle carenze di manodopera- oltre a coinvolgere i nostri giovani e le donne nel mondo del lavoroPanetta suggerisce di implementare «le misure che favoriscano un afflusso di lavoratori stranieri regolari», ammettendo che queste possono costituire «una risposta razionale sul piano economico, indipendentemente da valutazioni di altra natura». Certo l'Italia non potrà far da sola. E come chiesto da tempo dal governo Meloni proprio «l'ingresso di immigrati regolari andrà gestito in maniera coordinata all'interno dell'Unione, bilanciando le esigenze produttive con gli equilibri sociali e rafforzando l'integrazione dei cittadini stranieri nel sistema di istruzione e nel mercato del lavo ro». Dalle proiezioni della Banca d'Italia «anche con più occupazione e più lavoratori stranieri, il contributo del lavoro alla crescita sarà però contenuto». La verità è che soltanto con «una maggiore produttività», vale a dire con un incremento del prodotto per ora lavorata, «potrà assicurare sviluppo e redditi elevati». E non si tratta soltanto di un problema italiano: «In Europa la pro duttività cresce lentamente: negli ultimi due decenni abbiamo accumulato un ritardo di 20 punti percentuali rispetto agli Stati Uniti, principalmente a causa della difficoltà che le imprese europee incontrano nell'utilizzare nuove tecnologie nel processo produttivo». Favorire la crescita economica vuol dire anche ridurre il rapporto con debito. Dettaglio non da poco per un Paese, come il nostro, che si avvicina a sfiorare i 3mila miliardi di debito pubblico. Il governatore di Bankitalia non può esentarsi dal sottolineare un dato economico: «Un debito elevato rende più onerosi i finanziamenti alle imprese, frenandone la competitività e l'incentivo a investire; espone l'economia italiana ai movimenti erratici dei mercati finanziari. Sottrae risorse alle politiche anticicliche, agli interventi sociali e alle misure in favore dello sviluppo. L'Italia è l'unico Paese dell'area dell'euro in cui la spesa pubblica per interessi sul debito è pressoché equivalente a quella per l'istruzione». Certo non basta soltanto una prudente politica economica nazionale. L'Italia può e deve sforzarsi di portare avanti gli imponenti piani di sviluppo messi in cantiere (l'effetto positivo dei progetti del Pnrr vengono stimati in 194 miliardi, ovvero 9 punti di Pile una crescita dei salari del 4%), ma anche Bruxelles deve fare la sua parte. Panetta lo scandisce forte e chiaro: «Per superare le sue debolezze e tenere il passo con il progresso a livello mondiale, l'Unione europea dovrà avviare riforme profonde ed effettuare investimenti ingenti nei prossimi anni. Tra le riforme», dice, «ho già sottolineato l'importanza di creare una capacità fiscale comune, senza la quale l'attuale governance europea – caratterizzata da una politica monetaria unica e da politiche di bilancio frammentate a livello nazionale rimane squilibrata. L'idea che la Uem possa funzionare efficacemente senza una capacità fiscale centralizzata è semplicemente un'illusione, e va superata. Una politica fiscale comune correggerebbe questo squilibrio e rafforzerebbe la coesione tra paesi membri, facilitando la realizzazione di investimenti strategici su larga scala». Anche perché ci sono Stati che abbattono la tassazione interna per attrarre investimenti mettendo in difficoltà gli altri Paese europei. Un dumping fiscale che mette in squilibrio il continente. E che non ci possiamo più permettere.
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