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Test di ammissione da abolire. La prova? Furono bocciati Verdi, Einstein e la Hack
Oggi 13-03-25, 06:00
Il governo mette una croce sui test d'ammissione alle Facoltà di medicina, odontoiatria e veterinaria e la Camera dà il disco verde al progetto di legge con 149 sì (63 i voti contrari). Dopo il “go” condizionato alle immatricolazioni, ecco lo stop alle forche caudine dei questionari che dovrebbero rivelare la predisposizione all'arte sacra di Esculapio attraverso percorsi di selezione che passano da vie collaterali di cultura generale e di nozionismo, come capita capita. L'aspirante medico si ritrova magari davanti a un quesito di storia, o di attualità, o di letteratura, e si gioca per un anno, con una crocetta sbagliata, il bonus per agganciare l'aspirazione di una vita, l'infatuazione passeggera, la continuazione professionale dinastica, il sogno di una professione gratificante anche dal punto di vista economico e sociale. Un medico in famiglia serve sempre, ancor di più adesso che gli avvocati sono in offerta speciale con la formula del tre per due e non c'è condominio che ne sia sprovvisto. Il numero chiuso dovrebbe essere il filtro della qualità, oltre a rispondere alle esigenze del pianeta-sanità, ma troppo spesso non risponde né alla filosofia istitutiva dello sbarramento né alle previsioni statistiche e di funzionamento della rete ospedaliera e assistenziale. Per chi è di memoria corta, non occorre andare molto indietro nel tempo: l'esplosione della pandemia da Covid-19 mise a nudo implacabilmente buchi ed errori di programmazione col numero chiuso, tant'è che si dovettero richiamare in servizio i medici pensionati, oltre a lanciare in trincea dottori russi e cubani. L'UNIVERSITÀ IN MANO AL CASO Ma è proprio il sistema del test d'ingresso a spalancare riserve e dubbi in ogni ambito dello scibile umano. Pretendere da un liceale che scelga una facoltà universitaria in scienza e coscienza andando a bersaglio col dribbling ai paletti dei quiz, non è né selezione dei migliori né valorizzazione dei talenti. Men che meno quando la predisposizione viene verificata attraverso il setaccio dell'infarinatura generale, non potendosi, per ovvi motivi, farla con la conoscenza specifica e preliminare degli argomenti. E di solito, poi, la scuola ammette e la vita promuove, valorizzando il titolo accademico. La storia è strapiena di topiche clamorose. Un certo Albert Einstein, insofferente ai sistemi di insegnamento, a scuola rimediava voti talmente bassi che gli venne preclusa l'iscrizione al Politecnico di Zurigo. Andrebbero ritrovati uno per uno quelli che non intravidero la sua grandezza di scienziato. A un tal Giuseppe Verdi i professori che lo esaminarono all'ammissione in conservatorio a Milano consigliarono di cambiare strada: si vendicò in tarda età quando vollero intitolargli il conservatorio e lui saettò «non mi avete voluto da vivo e non mi avrete da morto». Se la carriera di Bill Gates fosse dipesa dai voti e dalla considerazione dei suoi docenti, racconteremmo un'altra storia dell'informatica. Margherita Hack fu rimandata a ottobre in matematica da un professore talmente miope da non intravedere la scintilla dell'astrofisica. Maurice Ravel già grande non riuscì mai a vincere il Prix de Rome e nel 1901 gli fu addirittura preferito André Caplet, con tale scandalo da far azzerare la commissione giudicante. Ecco, l'ultimo esempio vale come monito anche per la selezione che sposta il test d'ingresso dopo sei mesi di studi.
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