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Zaccardi: occhio, Draghi ci riprova
17-04-2024, 07:41
L'endorsement più inaspettato è arrivato da Viktor Orbán. «Mi piace Draghi» ha detto il primo ministro ungherese, rispondendo a una domanda sull'ipotesi che a guidare la Commissione, dopo le elezioni di giugno, sia l'ex premier italiano. «Non lo so» ha aggiunto, «ma lo rispetto, è una brava persona». Del resto, l'idea che sia l'ex governatore della Banca centrale europea a sedere sulla poltrona più prestigiosa di Bruxelles è stata avanzata con una certa insistenza negli ultimi mesi. Il primo a candidarlo, per la verità in via ufficiosa, era stato a dicembre il presidente francese Emmanuel Macron. Poi, ieri, il colpo di scena di Orbán, arrivato poche ore dopo l'intervento di Draghi alla Conferenza di alto livello sul Pilastro europeo dei diritti sociali a La Hulpe, vicino a Bruxelles. In quella sede l'ex premier ha anticipato i contenuti del rapporto sulla competitività che la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, gli ha chiesto di redigere, e che finirà sul tavolo del Consiglio europeo subito dopo le elezioni di giugno. Ma il tema della competitività sarà al centro anche del vertice straordinario di oggi dei capi di Stato e di governo dell'Ue. All'attenzione dei ventisette riuniti a Bruxelles ci sarà pure il rapporto di un altro ex premier italiano, Enrico Letta, dedicato al completamento del mercato unico dei capitali. Ma è chiaro che il discorso di Draghi fornirà la cornice delle discussioni. Anche perché le sue proposte sono già sufficientemente delineate. E denotano una chiara strategia che ha l'obiettivo di produrre «un cambiamento radicale» affinché l'Unione europea possa «essere all'altezza del mondo di oggi e di domani». ACCELERAZIONE Un'evoluzione che, per essere realizzata, ha bisogno di un'accelerazione visto che, ha spiegato Draghi alla presenza di von der Leyen, «non possiamo prenderci il lusso di ritardare le risposte fino alla prossima modifica del Trattato». Questo perché le sfide che l'Europa si trova di fronte, dalla transizione energetica e digitale alla concorrenza cinese e statunitense, richiedono interventi rapidi. L'assunto fondamentale del report di Draghi, insomma, è chiaro: così com'è ora, l'Unione europea non è in grado di confrontarsi con le potenze che si contendono la supremazia economica e militare, a cominciare da Cina e Stati Uniti. «La nostra risposta» ha spiegato l'ex premier, «è stata limitata perché la nostra organizzazione, il processo decisionale e i finanziamenti sono progettati per il mondo di ieri: pre-Covid, pre-Ucraina, pre-conflagrazione in Medio Oriente, prima del ritorno della rivalità tra grandi potenze». Da qui quel «cambiamento radicale» auspicato da Draghi: «Dovremo realizzare la trasformazione dell'intera economia europea». «Per garantire la coerenza tra i diversi strumenti politici» dunque, «dovremmo essere in grado di sviluppare ora un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche». Nel caso in cui ciò non fosse fattibile, ha precisato l'ex presidente della Bce, si potrebbe pensare «di procedere con un sottoinsieme di Stati membri», ovvero nella forma, già contemplata dai trattati, della «coperazione rafforzata». In questo modo, i Paesi potrebbero approfondire i propri legami in alcune materie, come il completamento dell'unione dei capitali, al fine di mobilitare le risorse necessarie agli investimenti. Tuttavia, ha aggiunto Draghi, «credo che la coesione politica della nostra Unione richieda che agiamo insieme, possibilmente sempre». Coesione che «è oggi minacciata dai cambiamenti nel resto del mondo». Insomma, per rafforzare la competitività dobbiamo «agire come Unione europea in un modo che non abbiamo mai fatto prima». OBIETTIVO In ogni caso, l'obiettivo cardine del rapporto stilato da Draghi è reagire alle sfide poste da Cina e Stati Uniti. Da un lato, infatti, Pechino «mira ad agguantare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento di tecnologie verdi e avanzate»; dall'altro, Washington sta facendo ricorso a «una politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiere nazionali di alto valore all'interno dei propri confini», mentre utilizza «il protezionismo per escludere» i competitor esteri. «Con i nostri concorrenti che si muovono velocemente» ha avvertito, «dobbiamo anche valutare le priorità. Sono necessarie azioni immediate nei settori più esposti alle sfide verdi, digitali e di sicurezza». Il quadro tracciato da Draghi, insomma, è piuttosto preoccupante. «Ci manca una strategia su come tenere il passo in una corsa sempre più spietata per la leadership nelle nuove tecnologie» ha sottolineato l'ex premier, ricordando che «oggi investiamo meno in tecnologie digitali e avanzate rispetto a Stati Uniti e Cina, anche per la difesa, e abbiamo solo quattro attori tecnologici europei globali tra i primi cinquanta a livello mondiale». Inoltre, secondo Draghi, quello che manca è anche una strategia per proteggere «le nostre industrie tradizionali da un terreno di gioco globale ineguale causato da asimmetrie nelle normative, nei sussidi e nelle politiche commerciali». Un esempio, in questo senso, è il settore «delle industrie ad alta intensità energetica». Fuori dall'Europa, queste imprese, oltre a poter contare su costi energetici più bassi, beneficiano «di un minore onere normativo» e talvolta «ricevono massicci sussidi che minacciano direttamente la capacità delle aziende europee di competere». La conclusione è ovvia: «Senza azioni politiche strategicamente progettate e coordinate, è logico che alcune delle nostre industrie ridurranno la capacità produttiva o si trasferiranno al di fuori dell'Ue».
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