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Estero
I sobillatori, i provocatori e il precedente del '23
Ieri 05-05-25, 19:57
AGI - Ma si può essere davvero così sicuri che basti una parolina, una vocina, un venticello a bloccare lo Spirito che, notoriamente, soffia dove vuole? Che basti insomma iniettare il morbo del dubbio in qualche anziano porporato, per indurlo a dir di no, che quel fratello in Cristo di Cristo non potrà divenir Vicario, stando a cotanta precarietà di salute? Santa ingenuità, verrebbe da dire se non fosse che nella calunnia l'elemento celeste latita non poco. Ecco: casta meretrix, direbbe Sant'Ambrogio. Eppure anche nella Chiesa non si può essere sicuri che basti la maldicenza, se non la calunnia, a far storto ciò che è dritto. Non è solo questione del precedente di Francesco, il cui polmone fu indicato come testimone dell'accusa e invece assolse. Nemmeno del precedente dell'ultimo Giovanni, che anzi dovette alla presunta scarsità di tempra fisica proprio l'elezione al Soglio. Risultato: fece nella Chiesa quella rivoluzione chiamata Concilio che ancora adesso stentiamo a digerire. Molti giovinastri avrebbero avuto paura. Addirittura vi fu chi, per aiutar lo Spirito a illuminar le menti, della falsa malattia fece l'arma vincente. Il Peretti, cardinal Montalto, aveva addosso non diremmo la puzza del gregge ma qualcosa di più: da bambino aveva pascolato i maiali come il Figliol Prodigo. Disse e assicurò di avere addosso, piuttosto, dolorosi malanni. Fu creduto. Cosa combinò in Conclave lo descrisse persino Mario Monicelli, liberamente ispirato, in un film del 1976: falsa malattia, veridica elezione, calamitose conseguenze. Non era passato nemmeno il tempo di prendere possesso del Trono che Sisto V aveva rovesciato Roma da cima a fondo. Avrebbe continuato, sprizzante salute, per anni e anni. E tutti a baciargli la pantofola. Ma tra i cento e mille trascorsi che si possono facilmente rinvenire, compulsando gli annali secolari della Chiesa, ve n'è uno che contiene, più di altri, elementi utili alla riflessione, tanto più che ce ne tramanda i contorni Stendhal: celta laicista e gallico spettatore distaccato, prono al sussiego, sempre divertente da leggere. Quest'ultimo tratto lo rende vincente agli occhi del lettore moderno. Si ascolti allora cosa ci dice Stendhal del conclave del 1823, dopo la morte di Sua Santità Pio VII, del casato Chiaramonti. Teatro di quei ventitré giorni tumultuosi fu il Quirinale, complice la calura estiva e la malaria endemica che sconsigliarono l'uso della Sistina. La Paolina, sul Colle, è altrettanto grande, e nel Palazzo ci sono stanze per tutti (il particolare avrà la sua importanza). Il segretario di Stato, potentissimo e di nome Ercole Consalvi, non ha intenzione di succedergli: sia sufficiente mantenere il controllo sul nuovo Pontefice. Extra omnes, il Portone si chiude e guardie pagate dalla famiglia Chigi perquisiscono i valletti che portano due volte al giorno le vettovaglie ai cardinali sotto chiave. Non deve passare nemmeno uno spillo, ma ci si dimentica di guardare nei polli arrosto, che' metterci dentro le dita vuol dire ungersele di sugna e offendere il destinatario: entrambi azioni da evitare con cura. Passano, unti ma leggibili, foglietti di ogni tipo. La sera i suddetti valletti, dopo aver ritirato la vasella, passeggiano sotto le finestre che affacciano sull'esterno. Cos'è quello? Un biglietto appena volato a terra. Lo si raccolga e lo si porti al destinatario, altrimenti è maleducazione. Il risultato di cotanto scrupolo è la cronistoria successiva, fatta di veti e voti, ma anche di spiate, infermità indotte o manifeste. Il primo candidato, il più forte, era il governatore di Roma, il cardinale Cavalchini. Ma di lui si seppe, come non è chiaro, che i francesi raccomandassero qualcuno dal polso meno duro, e Cavalchini smise di crescere nelle votazioni. Divenuto irraggiungibile il quorum di 33 evangelici voti, si ritirò con disciplina dalla lizza. Del secondo Stendhal non pronuncia il nome, pur citando un cardinale che più tardi gli avrebbe confidato l'essere stato si' a un passo dal Soglio, ma anche ad un soffio dalla dannazione per una conclamata falsa testimonianza in un processo dove giravano molti soldi. C'era da fidarsi di uno cosi'? Del terzo candidato forte, il cardinal N***, erano tutti sicuri e lui infatti sfiorò il quorum. Però venne pronunciata un'accusa orribile: aveva bevuto una tazza di cioccolata in un giorno di digiuno. Intanto erano passati quindici giorni ed il popolino di Roma, raccolto sulla piazza, iniziava a rumoreggiare. Ci si rivolse al Cardinal della Somaglia, uomo santo e timorato che accontentava tutte le cordate. Era persino anziano, pertanto ottimo per i disegni del Consalvi. Ma quando, presi da scrupolo, alcuni lo andarono a trovare nella sua stanza per chiedergli chi avrebbe voluto come segretario di stato, il sant'uomo rispose da par suo: sinceramente. "Sarà il cardinal Albani", confidò. E perse il pallio. Erano già quattro, gli aspiranti bruciati. Il quinto però venne eletto, o quasi. Quasi perché il cardinal Severoli, vescovo di Viterbo, non arrivò a 33 voti ma solo a 32 perché la sua forza era anche la sua debolezza: forte nella fede, aveva offeso al tempo stesso Francesco II d'Austria e Napoleone, quand'era nunzio a Vienna. I due stavano tramando il matrimonio tra il Corso e Maria Luisa d'Asburgo. Ma il prelato, che non dimenticava il magistero della Chiesa, aveva fatto presente l'indissolubilità del matrimonio tra l'imperatore francese e Giuseppina di Beauharnais, legittima consorte. La cosa non piacque alle due corti. Albani, il segretario di Stato mancato, per silurare Severoli ormai ad un passo dall'elezione fece uscire di nascosto dal Quirinale uno dei suoi servitori, ad avvisare l'ambasciatore austriaco. Il giorno dopo pote' pronunciare, nel nome di Vienna, il veto a Viterbo. Severoli si ritiro' con dignità nella sua stanza, ma di li' a poco cadde malato. Non si sarebbe più ripreso. Prima però ebbe modo di dare la sua impronta alla storia della Chiesa. Fu lui, infatti, a indicare dal letto del dolore il nome del cardinal della Genga, che fece centro al primo colpo. Trentaquattro voti, habemus Papam. Macche'. No, disse infatti lui, e si tirò su il lembo della veste color porpora. Sotto la veste spuntarono due gambe gonfie da vecchio, rossastre di varici e promesse di futura infermità. "Come potete pensare che io acconsenta a sobbarcarmi il peso che volete impormi?", chiese ai presenti già tutti in fila a rendergli omaggio. Persino quel laicista di Stendhal a questo punto gli riconosce grande dignità. I cardinali invece furono più pratici. "E che problema c'è?", gli risposero in sostanza. Lui allora accettò e le campane di Roma suonarono a festa: era stato eletto "un uomo saggio e moderato", Leone XII. Soprattutto, era stato stabilito il principio che la salute è un valore relativo, per lo meno tra le mura di un conclave. E questo vale oggi come per Della Genga, per Roncalli ma anche per Bergoglio. Per non parlar di Sisto V. Pertanto ai sobillatori, ai mentitori, ai provocatori che agitano cartelle cliniche vere o presunte come se fossero stendardi da crociata verrebbe da dire: state buoni, se potete. Vi potreste fare del male da soli.
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