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Cronaca
Sopravvissuta al disastro del Vajont, "ancora macerie e ferite da sanare"
Oggi 09-10-25, 17:44
AGI - Il buio e la valanga di acqua. Poi una mano che la trascina fuori dal fango. Tutto avviene in pochi istanti. Micaela Coletti aveva 12 anni quando la sua famiglia, la sua casa, e Longarone, il suo paese, furono distrutti dalla frana colossale che uccise 1.917 persone tra cui 487 bambini e adolescenti. La frana si staccò dal Monte Toc, precipitò nel bacino artificiale del Vajont generando un’onda di 300 metri che sommerse case e interi centri abitati. Nel giorno in cui ricorre il 62esimo anniversario del disastro del Vajont, la presidente del Comitato sopravvissuti continua a raccontare la sua storia, quella di un’intera Valle e di un intero Paese. La sera del 9 ottobre 1963 perse entrambi i genitori, la nonna e una sorella di 14 anni. "Il tuono poi il buio. Sommersa dal fango" Il ricordo di quella notte non si cancella e si declina nel presente. “Sono già a letto. C’è un forte tuono”, dice Micaela Coletti all’AGI. “Mia nonna entra nella mia cameretta per chiudere le imposte. La luce si spegne e il letto parte si sposta a una velocità impressionante. Mi tocco gli occhi, penso di non averli più. Non capisco se è un sogno. Mi trovo fuori sommersa dal pantano. E' tutto buio. Poi sento una mano che mi tira fuori dal fango. ‘Acqua, acqua, tanta acqua’. Sono le uniche parole che riesco a pronunciare”. Micaela viene trasportata all’ospedale di Cadore dove vengono soccorsi centinaia di feriti. All’inizio è sola in camera. Poi il passare delle ore il reparto si riempie. “Ma i miei genitori non potevano farmi visita”. Il cimitero delle vittime, monumento nazionale Dopo aver lavorato per anni in una impresa di pulizie, vive con una pensione di 600 euro mensili. “Non è sufficiente per poter pagare le cure psicologiche di cui avrei bisogno”, racconta. Vive a Fortogna, frazione di Longarone, dove si trova il cimitero delle vittime del disastro, diventato nel 2003 un monumento nazionale. “Vicino alla tomba c’è una foto di mio padre. Accanto alla sua foto ho messo anche un’immagine del suo corpo, uno dei pochi restituiti dalle macerie, è un ammasso di carne nera”. "Ancora 'macerie' e ferite da sanare" Anche oggi Micaela porterà la sua testimonianza di sopravvissuta. Del comitato fanno parte solo lei e il compagno supportati da una rete di volontari più giovani. “Oggi andrò a Longarone, anche se ogni volta mi fa male ritornarci”. Sarà ospite degli Alpini. “Il Vajont, oggi, non è solo terra e acqua, non è solo un paesaggio mozzafiato. La diga è ancora bella da guardare ma tutto quello che rimane è l’importante. Ci sono ancora tante 'macerie' e ferite da sanare”.
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