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Cronaca
Storia di Jalal, il migrante di Bitonto che ha ottenuto la cittadinanza
Oggi 17-05-25, 05:02
AGI - " Non ho mai perso la speranza, nemmeno quando dormivo per strada". Con la voce rotta dall'emozione e il certificato in mano, Jalal Al Shareefi Jabbar si racconta all'AGI, dopo aver ricevuto nei giorni scorsi la cittadinanza italiana dalle mani del sindaco, nell'ufficio anagrafe del Comune di Bitonto, nel Barese. Un gesto che ha sigillato tredici anni di lotte silenziose, sacrifici, notti all'addiaccio e infine riscatto. Dalla guerra alla rinascita Jalal è arrivato in Italia nel 2012, fuggito dalla guerra in Iraq. "Quando sono arrivato non conoscevo nessuno, né la lingua. Sono rimasto dieci giorni in strada, aspettando i documenti della questura. Poi sono stato ospitato al Cara di Bari-Palese, nella struttura gestita da Auxilium. Un anno dopo mi sono trasferito a Bitonto, sempre grazie a loro", ricorda. È lì che la sua vita prende una nuova piega. Impara l'italiano, trova un primo impiego in una ditta di pulizie che si occupava degli appartamenti destinati ai beneficiari dei progetti di accoglienza. Poi la svolta: "Un mio ex capo e un amico conosciuto al Cara mi hanno aiutato a formarmi come mediatore sociale interculturale. Da allora, faccio questo mestiere in Auxilium, dove sono ‘cresciuto'. Aiuto chi arriva, perché so cosa si prova. È il mio modo per restituire quello che ho ricevuto". Non solo lavoro, ma vocazione Non è solo lavoro. È una vocazione. Come nel caso di una famiglia palestinese divisa dalla guerra. "Il padre era qui, la moglie e i figli a Gaza sotto i bombardamenti. Abbiamo fatto tutto il possibile, io, i colleghi, il Comune, il ministero, per riunirli. Il giorno in cui li ho accompagnati a Roma, all'aeroporto, e li ho visti abbracciarsi è stata una gioia immensa. Non si può spiegare", sottolinea Jalal. Una battaglia durata anni Dietro la foto che lo ritrae con il cartello "Sono un italiano, un italiano vero", c'è una battaglia durata anni: "Ottenere i documenti richiesti dal mio Paese è stato complicato. Mio fratello doveva percorrere 600 km ogni volta, lasciare il lavoro, affrontare spese e file. Poi servivano traduzioni, certificazioni, appuntamenti con l'ambasciata italiana. Ogni volta qualcosa mancava. Ma non ho mai smesso di crederci". Il valore della cittadinanza Oggi, quella cittadinanza ha un valore profondo. "Me la sono guadagnata e sudata. E spero che chi la chiede, in futuro, lo faccia con onestà e rispetto. Non deve mai essere negata a chi la merita davvero. Perché nessun essere umano dovrebbe sentirsi escluso. Ma deve anche dimostrare di voler essere parte di questa comunità" conclude.
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