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Grandi manovre per la Salis. Così Avs prova a salvarla dal processo in Ungheria
Oggi 07-10-25, 09:54
Mentre Ursula von der Leyen deve difendersi da due mozioni di censura, l'equivalente di una sfiducia, nei corridoi dell'Europarlamento di Strasburgo si discute (e si tratta lontano dai microfoni) della sorte di Ilaria Salis. L'eurodeputata di Avs questa mattina saprà se perderà o meno l'immunità che la protegge dal processo in Ungheria. Due destini incrociati, con un finale forse diverso. Partiamo da Ursula. Seduta in prima fila tra i banchi dell'Eurocamera, la presidente della Commissione europea ascolta in prima persona le accuse che le vengono rivolte dalla destra e dalla sinistra dell'emiciclo. A muovergliele sono due eurodeputati francesi, Jordan Bardella e Manon Aubry, i maggiori oppositori di Emmanuel Macron, appena travolto dalla caduta del governo Lecornu. Bardella, delfino di Marine Le Pen e alleato di Matteo Salvini in Italia, parla a nome dei Patrioti. Chiede a von der Leyen di «farsi da parte per salvare l'Europa», ritenendola colpevole di «aver firmato la resa commerciale con Trump» e di non aver contrastato l'invasione di migranti. L'altra mozione di sfiducia, come detto, è di colore opposto e arriva da The Left, la sinistra europea. La critica è completamente diversa: «Ha accompagnato il genocidio di Gaza». Ursula però ostenta tranquillità, sa di godere di un'ampia maggioranza che si basa sul sostegno di Popolari (Ppe) e Socialisti (S&D). I Conservatori (Ecr), invece, preferiscono lasciare libertà di voto alle delegazioni dei vari Paesi, perché come ricorda il copresidente Nicola Procaccini (FdI), «ognuno sarà libero di scegliere in base alle ragioni e agli interessi del proprio popolo». Riuscire a «sfiduciare» la presidente della Commissione è un'impresa ardua: servono i due terzi dei voti espressi che corrispondano alla maggioranza dell'assemblea. Il voto è fissato per giovedì. Più complicata, invece, la partita per Salis. La paladina delle occupazioni conoscerà il suo destino questa mattina. Due settimane fa ha incassato una vittoria in sede di commissione parlamentare Affari giuridici, quando 13 eurodeputati contro 12 hanno respinto la richiesta di revoca dell'immunità. Il nuovo relatore del suo procedimento adesso chiede di proteggerla della «persecuzione» ungherese. Oggi, però, l'intero Parlamento europeo potrebbe ribaltare il primo verdetto. Le speranze di Salis risiedono nel voto segreto, un'anomalia rispetto alla prassi del voto palese per alzata di mano. Grazie all'«aiutino» dei Socialisti, che ne hanno fatto espressa richiesta, solo lei avrà questo privilegio. Non godranno dello stesso trattamento di favore gli altri tre eurodeputati per cui si voterà la revoca dell'immunità. Due sono i polacchi Michal Dworczyk e Daniel Obajteck, entrambi conservatori. L'altro, il più importante, è l'ungherese Peter Magyar, iscritto al Ppe e principale oppositore in patria di Viktor Orban. Anche se i Popolari lo hanno escluso categoricamente, i possibili franchi tiratori - ne servono trai 40 e i 50 - potrebbero annidarsi proprio tra i 188 onorevoli del Ppe, tra cui militano non pochi «nemici» di Orban. Ecco perché Patrioti ed Ecr temono un accordo sottobanco con S&D: voi ci salvate Magyar, noi faremo altrettanto con Salis. Tanto che il capodelegazione di FdI, Carlo Fidanza, lancia un appello: «I gruppi di centrodestra rimangano compatti». E il capogruppo della Lega, Paolo Borchia, ribadisce: «Il voto segreto è imprevedibile, spero che gli eurodeputati entrino nel merito e non ci siano strani accordi». La situazione è complicata. Salis ha bisogno di 360 voti. L'asse Sinistra-Verdi-Socialisti-Renew gliene può garantire 310. Il versante opposto, Ecr-Patrioti-Ppe-Sovranisti, può arrivare a 379. I non iscritti, sono 30. Questa la situazione sulla carta, perché decisivi saranno anche gli assenti.
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