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Il Pd boicotta se stesso. E sulla “salva-Milano” Schlein non trova la quadra
02-02-2025, 13:20
Dottor Jekyll e mister Hyde, in pratica il Pd «double face». Come certi abiti totalmente reversibili, intramontabili. Il Nazareno d'altra parte ne aveva già sperimentato la portabilità, limitandosi al cambio di stagione. Il Jobs act, approvato e santificato durante il governo di Matteo Renzi e scaricato brutalmente anni dopo per le nozze con Maurizio Landini. D'altra parte le mode cambiano. O la separazione delle carriere dei magistrati sottoscritta con il reggente Maurizio Martina, brutalizzata quando a farla davvero è il governo di Giorgia Meloni. Stavolta il Pd è andato oltre, innovazione allo stato puro, o più probabilmente non ci sono più le mezze stagioni di una volta. Così nel giro di poche settimane i dem pensano di cambiare voto da un ramo all'altro del Parlamento. Ricapitoliamo: a Montecitorio sotto l'attenta supervisione della presidente Chiara Braga e della segretaria lombarda Silvia Roggiolani, due fans di Elly Schlein, l'aula approva il Salva Milano, (la norma che serve a chiarire le regole dopo le inchieste dei pm e a sbloccare l'urbanistica milanese) votano contro solo il M5S ed Avs. Un provvedimento fortemente sostenuto da Giuseppe Sala, anche lui a capo di una giunta retta con il voto del Pd. Insomma tutto pacifico, tutto praticamente in casa. È a questo punto che entra in gioco il «genio», l'appello degli urbanisti: «Questa proposta di legge cambierà radicalmente il futuro delle nostre città, rendendole sempre più congestionate ed elitarie». Ergo: «Senatori non votatela». Veri e propri «mostri» sacri tra i sottoscrittori: Angela Barbanente, presidente della società italiana urbanisti, Salvatore Settis dell'Accademia dei Lincei ed il signor no per eccellenza, Tomaso Montanari. In poche parole il Nazareno deve chinare la testa e prendere ordini, «andare avanti come se nulla fosse non si può». Così a Palazzo Madama comincia il sacrificio rituale, la transumanza dal sì, al vediamo cosa fare, per giungere ad un forse, forse no, assolutamente no. La Salva-Milano intanto procede per il suo iter in commissione Ambiente, e tra i primi auditi c'è proprio la vittima designata, il sindaco. Ad armare le baionette, il capogruppo dem in Commissione, il calabrese di belle speranze, Nicola Irto, proconsole sul luogo del misfatto per conto del potente Francesco Boccia, in pratica il garante senior della «ragazza». Una situazione esilarante: fedelissimi di Elly a Montecitorio contro fedelissimi di Elly in Senato, in pratica kramer contro kramer. Giovedì sera, a Piazza Pulita, la segretaria esegue il suo tocco più pregiato, mandare la palla in tribuna, «riusciremo a fare sintesi». Beppe Sala invece ha un nervo per capello, se saltasse la Salva Milano, contestualmente salterebbe anche la maggioranza che regge il capoluogo lombardo, per dire che trovare un punto di incontro sarà abbastanza difficile. Lega e Fratelli d'Italia giocano facile, ed alzano la posta, in Consiglio comunale a Milano, chiedono a tutta la composita maggioranza che sostiene lo «sventurato» primo cittadino di schierarsi a favore del provvedimento tanto invocato dal sindaco. Anche ai Verdi, che benedetta coerenza, non ci pensano neanche lontanamente. A dirla come va detta, senza peli sulla lingua, ci pensa Carlo Calenda, «il Pd ha un atteggiamento demenziale, la norma è stata approvata in un ramo del Parlamento». Insomma più che salva Milano, si imporrebbe un salva Pd.
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