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Il ritorno del Marziano: “Sfido Gualtieri. Il Pd mi ha cacciato perché hanno paura della legalità”
Oggi 24-05-25, 07:37
«Buonasera, non sono abituato a essere chiamato onorevole, professore sì... onorevole mi fa un po' ridere». L'esordio della telefonata con Ignazio Marino, parlamentare europeo eletto con Avs (24.995 preferenze a Roma), è l'esempio lampante del motivo per cui quando era sindaco della Capitale, prima di essere cacciato dal suo stesso partito, il Pd, lo chiamavano «il marziano». Un soprannome che gli è rimasto addosso e che ora popola gli incubi della sinistra romana. Perché Marino vuole ricandidarsi e l'attuale sindaco dem, Roberto Gualtieri, rischia di vedersi soffiare voti preziosi per il bis nel 2027. Nel frattempo Marino visita le periferie, da Bastogi a Val Melaina fino a Ostia, ma non per campagna elettorale – assicura – bensì per raccontare ai cittadini cosa sta facendo a Bruxelles. «Le mie attività in questo momento sono soprattutto quelle che non emergono – spiega - cioè il lavoro nella commissione Salute. Fino a questa legislatura non esisteva, nessuno la voleva, a destra per un falso problema di sovranismo, a sinistra per un'idea forse esasperata secondo cui la salute dovrebbe stare nel capitolo ambiente, che è vero, ma oggi ha così tanto a che fare con le nuove tecnologie, rispetto a tanti anni fa, che serve il lavoro della commissione per garantire a tutti i cittadini lo stesso accesso alle cure, agli stessi farmaci». La riporto nel Raccordo anulare. Ultimamente la vediamo spesso nelle periferie. Qual è la prossima tappa? «Pensavo a Ostia, perché è stato uno dei luoghi importanti, in senso sia positivo che negativo, della mia consiliatura. Negativo perché è il luogo dove è esplosa con evidenza la presenza della criminalità organizzata e dell'illegalità in generale. Mi ricordo che un giorno, prima ancora di abbattere le mura che impedivano ai cittadini di accedere liberamente alle spiagge, dissi una frase per cui venni rimproverato dall'allora prefetto: «Qua bisogna venirci con le armi lunghe», cioè con i fucili. Fui quasi sgridato per questa affermazione e poi, pochi mesi dopo, arrestarono moltissime persone». Che cosa le dicono durante queste visite? «Io mi stupisco perché, dopo l'allontanamento forzoso dal Campidoglio, sono stato negli Usa per dieci anni, addirittura a ottomila chilometri di distanza, e invece vengo accolto con grande affetto dalla maggior parte delle persone. L'80% mi chiama sindaco, e in questo momento non lo sono, ma mi dicono che sono il «loro» sindaco. A Bastogi, un quartiere in condizioni disastrose, è stato un pugno nello stomaco quando mi hanno raccontato di avere invitato il vero sindaco, quello in carica, ma che siccome si temevano proteste organizzate da altri schieramenti politici non si è presentato e ha mandato due assessori». Quindi vorrebbero che lei tornasse a Roma. «Devo dire che addirittura mi chiedevano: come si fa per votarla? Bisogna firmare da qualche parte?» Ma lei si ricandiderebbe? «Guardi, quando ho fatto il sindaco ho trovato un cantiere della metropolitana con la talpa smontata, ho fermato tutti i pagamenti, pretendendo che prima i lavori avanzassero, e alla fine ho aperto 22 stazioni. Ho pedonalizzato via dei Fori Imperiali, fatto le gare per i bus ibridi ed elettrici, scelto i dirigenti delle partecipate sulla base del merito e della competenza e non della tessera di partito. Sono stato un sindaco che ha iniziato a vedere dei cambiamenti e poi, dopo 28 mesi, si è visto portato via da un'anomala alleanza tra destra e sinistra che è andata dal notaio. Questo ti rimane dentro, è come se un chirurgo venisse portato via dalla sala operatoria prima di completare il lavoro sul paziente. Ecco, certo che vorrei tornare a finire il mio intervento. Poi la vita va avanti e sono molto contento del lavoro che sto facendo, tra Ue e università. Però anche oggi, sul taxi, il tassista mi ha chiesto di tornare. Non posso negare che mi questo mi emoziona, che mi fa piacere, perché è un riconoscimento, mentre quando ero qui venivo quotidianamente sbeffeggiato dai media perché non accettavo una politica asservita ai poteri forti». Vede questa deriva nell'attuale amministrazione? «Ho letto gli articoli che il quotidiano Domani sta dedicando alla vicenda dell'assessore Alessandro Onorato. Qui abbiamo un sindaco che, per andare a trovare la madre, usava il suo permesso Ztl e la sua Panda e non l'auto di servizio. E poi abbiamo un assessore che non ha commesso reati, ma che ha legami d'affari con una società che a sua volta ha legami d'affari con la giunta. Che legittimamente vende la sua casa con un surplus di oltre 100 mila euro, che diventa direttore di una società mentre fa l'assessore ai Grandi eventi. E tutti stanno zitti. Il Pd, mentre ero in riunione con Boris Johnson, mi chiese di rientrare d'urgenza di notte perché sentiva l'esigenza etica di discutere della mia Panda rossa. Invece su questo, tutti zitti. Io voglio scrivere un post in cui dico che no, Onorato non si deve dimettere, perché è perfettamente in linea con la filosofia del sindaco Gualtieri, con quella del Pd e di tutti gli altri partiti che lo sostengono, che vogliono che i poteri finanziari vadano a braccetto con quelli politici. In questo senso, il fatto del termovalorizzatore è in grande ciò che Onorato ha fatto in piccolo. Gualtieri conduce un affare che vale miliardi ma che penalizzerà i cittadini di Roma». Possiamo dire oggi cosa è successo nel 2015? Perché ha dovuto lasciare la fascia? «Perché ero, come diceva il Partito democratico, inaffidabile. Ed ero inaffidabile perché se mi accorgevo che veniva fatto qualcosa che non era legale, corretto o semplicemente nell'interesse della città, andavo dalla magistratura». Lei ieri era del Pd, oggi evidentemente no, come si posiziona? «Ma no, io ho ricevuto alle Europee tantissimi voti. Anzi, sospetto che anche il segretario cittadino del Pd, Enzo Foschi, mi abbia votato, perché so che è una persona molto seria e sono sicuro di avere la sua stima. Quindi credo che il popolo del Pd sia in assoluta assonanza e abbia un grande rispetto per me, come io ho rispetto per loro, e non mi sento distante. Mi sento distante da tutto quello che abbiamo descritto fino a questo momento». Non teme, candidandosi, di mettere in difficoltà Gualtieri e magari facilitare un candidato di destra? «Ma no, non metto in difficoltà nessuno, soprattutto se Giorgia Meloni, l'amica di Roberto Gualtieri, perché dicono che lavorano bene insieme, cambierà la legge elettorale facendo vincere al primo turno col 40%. Perché nel caso in cui io mi candidassi vincerei al primo turno, quindi per Gualtieri non ci sarebbe nessun problema (ride...) Comunque non è nei miei progetti. Per adesso no. Poi nel 2024 a me è venuto in mente ad aprile di candidarmi, e ho dovuto rimandare un viaggio di lavoro. Il 10 giugno avrei dovuto essere a largo delle Galapagos, poi mi sono ritrovato in Parlamento europeo...».
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