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L'analisi del sociologo Ricolfi: “Trauma significativo per quei bimbi. Così i giudici forzano la Costituzione”
Oggi 27-11-25, 09:33
Il caso della «famiglia nel bosco» sta scuotendo l'opinione pubblica. Abbiamo analizzato con Luca Ricolfi, politologo e sociologo, sia gli aspetti giuridici che sociali. È possibile che nel 2025 si possa decidere di vivere in un bosco anche con figli a carico? «Sì, è possibile, più che mai nel 2025 visto che le contro-indicazioni del vivere “normalmente” diventano sempre più macroscopiche, specie dopo l'uscita dal Covid. Penso ai danni dei cellulari e di una socializzazione eccessiva e non filtrata. Naturalmente quel che puoi fare con dei bambini fin verso i 12-13 anni, non lo puoi più fare quando arriva il momento dell'istruzione superiore». Il problema maggiore contestato a questa scelta di vita sono la carenza igienica e la mancata socializzazione dei minori. «Più che le carenze igieniche, mi pare discutibile (anche se comprensibilissima, dopo i disastri delle vaccinazioni anti-covid) la scelta di non vaccinare i figli. Quanto alla mancata socializzazione pare non sia totale e assoluta, perché i tre “bambini nel bosco” frequentano altre famiglie e altri bambini i cui genitori sono in sintonia con i principi spartano-naturalistici della famiglia Trevaillon-Birmingham. I giudici, con una incredibile forzatura interpretativa, invocano l'articolo 2 della Costituzione, che non c'entra nulla con il diritto alla socializzazione. E ignorano completamente l'articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948), che stabilisce in modo chiaro che “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”». È d'accordo con la decisione di allontanare i minori? «Assolutamente no, se non altro perché il trauma che i servizi sociali stanno infliggendo ai tre bambini è certo e significativo, mentre i traumi da cui un'educazione standard li proteggerebbe sono ipotetici. Come non vedere che, con la loro scelta radicale, i genitori della casa nel bosco in realtà stanno proteggendo i loro figli da bullismo, cattive compagnie, istupidimento da internet? Sul caso c'è chi parla di strumentalizzazione politica, secondo lei c'è qualcosa di vero? «Sì, è chiaro che la vicenda si presta a essere usata da altri per ribadire le proprie visioni del mondo. Ma non la chiamerei strumentalizzazione: quando accade qualcosa di controverso e interessante è ovvio e naturale che non solo le forze politiche ma anche tutti noi ci si rapporti e ci si misuri con quel che è successo. Non so se lo ha notato, ma la “strumentalizzazione” viene denunciata quasi sempre da una sola parte politica, quella che non riesce a sfruttare gli eventi a proprio favore. In questo caso è comprensibile che a parlare di strumentalizzazione sia la sinistra ufficiale, visto che i suoi esponenti per lo più aderiscono all'idea che i bambini siano meglio educati dalla scuola che dalla famiglia. A sinistra solo il comunista Marco Rizzo ha avuto il coraggio di invitare a riflettere sul consumismo e l'alienazione della nostra società anziché demonizzare le scelte della famiglia che aveva scelto di vivere a contatto con la natura». Del resto, come risulta dal Ministero dell'istruzione, sarebbe stato regolarmente espletato il ciclo scolastico. «Se questo è vero, diventa ancora più insostenibile la posizione di chi ha deciso di allontanare madre e bambini dalla loro casa. Ma la cosa che più mi stupisce è che nessuno abbia fatto notare che, per come è diventata negli ultimi decenni, la scuola elementare ormai non insegna quasi nulla di quel che si insegnava un tempo, rendendo molto più difficile il compito degli insegnanti delle scuole medie, che raccolgono ragazzi iper-socializzati e ipo-acculturati. Non mi stupirei che, per un insegnante delle medie, fosse più facile istruire un “bambino del bosco” che un bambino di città».
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