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Lazio nelle mani di Christos. L'intervista a Mandas: "Sono in un grande club"
Oggi 23-05-25, 09:47
Non c'è pazzia in quegli occhi blu come il mare. Christos Mandas si è lasciato alle spalle le onde che accarezzano la Grecia per diventare grande con la Lazio. Due stagioni in cui ha dimostrato di essere molto di più di un semplice dodicesimo: il destino è nelle sue mani. Educato, cordiale, tranquillo. Forse anche troppo per essere un portiere. Si scusa più volte per l'italiano non perfetto, ma riesce comunque a trasmetterci le sue emozioni. E anche qualche segreto. Iniziamo subito rispondendo a chi sostiene che lei sia troppo basso per essere un portiere di grande livello: ci dice la sua altezza reale? «Sono alto tra 187 e 188, però la cosa importante sono le braccia. Sono quelle che fanno la differenza». In che senso? «Quando allungo le braccia raggiungo l'estensione di chi è parecchio più alto di me. L'ho fatto con un compagno di squadra che era alto 194 cm e alla fine eravamo uguali». E poi l'altezza l'aiuta per essere più reattivo e agile... «Il mio lavoro è proprio questo, cercare di sopperire a un limite fisico con la velocità e il fatto di essere più scattante. L'unico aspetto è relativo alle uscite, devo sempre prendere bene le misure». Su cosa si sente di dover migliorare ancora? «Sicuramente nel giocare con i piedi. Prima di venire alla Lazio non era così richiesto, mentre qui è fondamentale». Che cosa differenzia Sarri da Baroni? «Sarri voleva sempre un gioco corto, anche quando la squadra avversaria veniva molto alta. Con Baroni magari proviamo di più la palla lunga sull'attaccante, ma per entrambi la costruzione del portiere è molto importante». In questo anche Provedel l'ha aiutata? «Con lui ho un bellissimo rapporto ma la mia crescita è merito dei preparatori e di Baroni». Molte persone paragonano il suo stile a quello di una leggenda come Peruzzi. C'è qualche similitudine? «Sono giovane quindi ho visto poco di Peruzzi, ma so perfettamente quanto sia stato importante per la Lazio. Anche lui come me non era altissimo, ma aveva una cattiveria e una concentrazione incredibili. È sicuramente un modello». A proposito di modelli, qual è il suo prototipo di portiere? «Non ce n'è uno nello specifico. Cerco di rubare un po' da tutti: ho studiato molto Buffon e Casillas, mentre per quanto riguarda le uscite mi piaceva molto Handanovic. Però il mio idolo non è un portiere». Si spieghi meglio. «Il mio idolo è Pedro. Vederlo giocare è uno spettacolo, soprattutto in allenamento. Io cerco sempre di infilarmi nella squadra dove c'è lui perché alla fine vince sempre. È veramente un fenomeno». Che cosa vuol dire per lei essere il portiere della Lazio? «È un sogno. Quando giocavo in Grecia avevo un preparatore dei portieri italiano e gli dicevo sempre: "io vorrei giocare in Serie A". Quindi quando è arrivata la Lazio non ci credevo, ero troppo felice». E da poco ha anche rinnovato il contratto fino al 2029... «Naturalmente sono anche contento di questo, così posso essere anche più tranquillo. Io, ma anche la mia famiglia, che ogni volta che può mi viene a trovare a Roma. Sento la fiducia della società». Pochi giorni fa Rovella, che è 2001 come lei, ha detto di voler rimanere per sempre alla Lazio. A sentirla parlare sembra che sia lo stesso per lei. «Io qui sono molto felice, anche per me vale lo stesso discorso di Rove. Penso che sia per tutti i ragazzi che sono qui. Il centro sportivo è bello, lo stadio è bello, i tifosi sono belli, la pensiamo tutti così. Perché dovremmo voler andare via? Siamo in un grande club». Però in estate era arrivata una chiamata dal Manchester City... «Quello fa piacere, è normale. Se arriva l'occasione della vita è giusto fare le proprie valutazioni, ma io non sono più in una società piccola, quindi anche se dovesse arrivare la chiamata di un top club, il mio primo pensiero non sarebbe quello di andare via. La valuterei sapendo che qui sto benissimo, che la società ha un progetto per me e che mi ha fatto rinnovare il contratto». Scopriamo qualcosa di più su di lei, torniamo a quando era bambino. Ha sempre fatto il portiere? «In realtà fino ai 12/13 anni giocavo un tempo in attacco e un tempo in porta. Sin da piccolo avevo le gambe grosse quindi tiravo più forte dei miei coetanei, per questo mi mettevano in attacco, ma a 14 anni sono tornato tra i pali e non mi sono più mosso da lì». Da Atene a Roma, le piace andare in giro per la città? «Ho visto quello che c'era da vedere, diciamo da turista, ma non sono uno che esce la sera, preferisco rimanere a casa con la mia fidanzata. Se capita vado al ristorante una sera a settimana, sempre che il giorno dopo sia libero». Si dice sempre che i portieri siano un po' matti, lei però ci sembra molto tranquillo. È un'anomalia? «In Grecia sono arrivato in prima squadra che ero ancora un ragazzino e c'erano i compagni più grandi che magari uscivano e mi portavano con loro. In quel momento ho capito che per fare strada dovevo rimanere lontano da locali e distrazioni varie». L'unica libertà che si concede a questo punto sono i tatuaggi. A quale è più legato? «Questi (mostra il braccio, ndr.) mi ricordano la Grecia. Ma il più importante è questo con mio padre. Lui è sempre presente, gli devo tutto». A proposito di Grecia, alla Lazio piace tanto il suo compagno di Nazionale, Fotis Ioannidis, lo sapeva? «Sì, certo. Con lui ne ho parlato anche la scorsa estate. Ovviamente anche per Fotis sarebbe un sogno venire in Serie A, ma non so se il Panathinaikos lo farà partire, è anche il capitano». Che tipo di attaccante è? «È un killer in area di rigore. Quest'anno ha segnato meno per colpa di un infortunio, ma vi assicuro che è molto forte. È bravo anche ad aiutare la squadra, a venire incontro e aprire gli spazi per i compagni». E il suo rapporto con la Nazionale? Vuole diventare titolare anche lì? «Siamo un gruppo molto giovane, abbiamo fatto tutto il percorso nelle giovanili insieme. Siamo amici, quindi per me è difficile sentire la rivalità con i miei compagni». La Grecia, appunto. Lei sa che i colori della Lazio sono ispirati proprio alla bandiera greca? «Me lo ha detto un ragazzo appena sono arrivato a Formello, mi ha raccontato questa storia. Ho sentito subito dentro di me un legame speciale, come se qui stessi ancora a casa mia e potessi rimanere a vita». A inizio stagione ha giocato solo in Europa, quando ha capito che stava per diventare il titolare? Cosa le ha detto Baroni? «Non mi ha detto niente, ho capito che serviva il mio aiuto e ho cercato di farmi trovare pronto». Però a Bergamo nessuno si aspettava il suo impiego... «Cinque minuti prima della riunione tecnica mi ha chiamato per dirmi che avrei giocato, ma non mi ha detto qualcosa di particolare, solo di replicare in partita quello che faccio in allenamento». Torniamo al suo esordio con la Lazio, il derby del 10 gennaio 2024. Che emozione è stata? «È il momento in cui la mia carriera è cambiata. Però sono contento che fosse il derby, non l'ho vissuto con troppa pressione». Tra le serate più difficili c'è senza dubbio quella con il Bodo? «Arrivavamo dal 2-0 in trasferta ma credevamo fortemente nella rimonta. Quando abbiamo segnato il 3-0 eravamo convinti di avercela fatta, poi il gol a fine tempo supplementare c'ha distrutto. Lì sono finite tutte le energie». Dal suo punto di vista cosa ricorda dei rigori? «Avevo studiato gli avversari e la cosa incredibile è che gli unici due rigoristi hanno sbagliato entrambi. Gli altri non avevano mai tirato un rigore in carriera... il calcio è davvero inspiegabile». Che voto sente di dare alla stagione della Lazio? «È stata una stagione difficile, lunga e con tanti giocatori nuovi. Però penso che in campionato di 37 partite ne abbiamo fatte 28-30 molto buone e le altre invece no. Non sempre siamo riusciti a fare quello che ci chiede il mister». E se alla fine dovesse essere Conference League? «Preferisco non rispondere a questa domanda perché tutti nello spogliatoio pensiamo che la Champions sia ancora possibile, quindi ci proveremo fino alla fine». Stagione quasi terminata, poi ci saranno gli impegni con le Nazionali, ma come trascorrerà le sue vacanze? «Passerò del tempo tra qualche isoletta in Grecia, una piccola vacanza prima di tornare ad allenarmi in modo un po' più serio quando tornerò ad Atene». E invece un messaggio per i tifosi? «Per me sono stati meravigliosi, ci hanno sempre supportato, specialmente nei momenti di difficoltà. Invece di fischiarci ci hanno sempre applaudito. Alcuni sono venuti persino in Norvegia anche se non avevano il biglietto per entrare allo stadio. Non li ringrazieremo mai abbastanza per quanto ci sono stati vicino».
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