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Le ombre dietro il carcere di Sarkozy
Oggi 27-09-25, 15:21
A quattordici anni dall'intervento militare in Libia, una sentenza della giustizia francese riapre scenari oscuri che gettano nuove ombre sulla politica internazionale di inizio anni Duemila. Nicolas Sarkozy, ex presidente della Repubblica francese, è stato condannato a cinque anni di carcere, tre dei quali da scontare effettivamente, per associazione a delinquere nel contesto del presunto finanziamento illecito da parte del regime di Muammar Gheddafi alla sua campagna elettorale del 2007. Una decisione senza precedenti, che segna la prima volta nella storia della Quinta Repubblica in cui un presidente francese viene condannato a pene detentive per reati legati all'esercizio del potere. E che, inevitabilmente, riapre interrogativi mai sopiti sulle vere motivazioni che portarono all'intervento della Nato in Libia nel 2011, culminato con la caduta e la brutale uccisione del colonnello Gheddafi. Il procedimento si è concentrato sulla rete di contatti e intermediari che, secondo l'accusa, avrebbero fatto da ponte tra il potere libico e l'entourage dell'allora presidente francese. In particolare, i giudici hanno ritenuto Sarkozy colpevole di aver lasciato che i suoi collaboratori cercassero e accettassero finanziamenti da Tripoli per la sua corsa all'Eliseo. Secondo la ricostruzione dell'accusa, si parlerebbe di oltre 60 milioni di dollari, cifra che però non è stata pienamente tracciata. Lo stesso Sarkozy ha sempre negato ogni addebito, definendo le accuse “una mostruosità”, e ha già annunciato ricorso in appello. La sentenza, tuttavia, aggiunge un tassello giudiziario a una vicenda che da tempo solleva più di un sospetto anche sul piano geopolitico. Il 17 marzo 2011, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvava la risoluzione 1973, autorizzando l'imposizione di una no-fly zone sulla Libia e “tutti i mezzi necessari” per proteggere i civili dalla repressione del regime. Pochi giorni dopo, la Nato avviava i bombardamenti contro le forze di Gheddafi, con la Francia tra i principali promotori dell'azione. L'operazione venne presentata all'epoca come un dovere morale dell'Occidente per impedire un bagno di sangue a Bengasi. Ma oggi, alla luce della sentenza Sarkozy, si riaccende il sospetto che interessi personali e di Stato abbiano giocato un ruolo ben più rilevante. Alcuni osservatori ipotizzano infatti che l'intervento sia stato anche una mossa preventiva per mettere a tacere Gheddafi, che avrebbe potuto rivelare il presunto finanziamento alla campagna elettorale di Sarkozy. Una tesi suggestiva, ma mai dimostrata pienamente nelle sedi giudiziarie, che resta nell'ambito delle speculazioni politiche. Anche l'Italia fu coinvolta nell'operazione internazionale. Il governo dell'epoca, guidato da Silvio Berlusconi, si dichiarò inizialmente contrario all'intervento armato, anche in virtù del Trattato di amicizia firmato con la Libia nel 2008. Ma la posizione italiana cambiò rapidamente. Il 9 marzo 2011, l'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano riunì il Consiglio Supremo di Difesa, sostenendo la necessità di un intervento multilaterale coordinato nel rispetto delle risoluzioni Onu. Il governo, sotto pressione, finì così per autorizzare l'uso delle basi italiane e, in seguito, la partecipazione diretta alle missioni. Una scelta che oggi torna al centro del dibattito, anche per le conseguenze che ha avuto sul piano energetico e migratorio. Con la caduta del regime di Gheddafi, la Libia è precipitata in un conflitto interno ancora oggi irrisolto. Il caos ha favorito l'ascesa di milizie islamiste, l'espansione dell'influenza turca e l'apertura di nuove rotte migratorie incontrollate verso l'Italia. Secondo alcuni analisti, l'Italia ha pagato un prezzo altissimo: oltre un milione e mezzo di migranti hanno attraversato il Mediterraneo dalla Libia dal 2011 a oggi e la perdita di influenza geopolitica in quella regione è stata profonda. Tuttavia, anche in questo caso, le responsabilità restano complesse e condivise a livello internazionale. La vicenda Sarkozy è destinata ad avere ripercussioni non solo sulla politica francese, ma anche sulla memoria storica di un'intera stagione. Non è raro che la giustizia arrivi tardi, ma quando accade, può contribuire a riscrivere la narrativa ufficiale di eventi che hanno segnato il destino di intere aree del mondo. La condanna dell'ex presidente francese non certifica, di per sé, un disegno complottista volto alla eliminazione fisica di Gheddafi per ragioni personali. Ma offre nuovi elementi per rileggere, con maggiore consapevolezza, quanto accadde in quegli anni, tra scelte ufficiali, pressioni internazionali e interessi incrociati.
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