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L'imPREVOSTo. I veri rapporti con Trump, il ruolo con Meloni, il patto con Dolan: perché Leone scompiglia le carte
Oggi 10-05-25, 07:14
«C'è un cardinale a New York molto bravo». L'endorsement di Donald Trump per il toto-papa alla fine si è rivelato un pronostico azzeccato. Perchè Timothy Dolan in conclave si è dimostrato effettivamente molto bravo, almeno nel ruolo di «pope maker». In pochi mesi il pacioso arcivescovo che il tycoon volle nel giuramento a Capitol Hill ha visto completamente ribaltarsi le sorti della sua carriera ecclesiastica: tutti prevedevano il suo pensionamento lampo dopo i 75 anni compiuti a febbraio, invece la morte di Francesco e l'apertura delle porte della Sistina lo hanno reso un assoluto protagonista. I retroscena sul conclave arrivati a «Il Tempo» confermano che Dolan, alla vigilia uno dei principali esponenti del fronte conservatore pronto a dare battaglia per impedire l'elezione dell'uomo dell'accordo con Pechino Pietro Parolin o di un terzomondista Francesco II, sia stato determinante per fare salire al trono di Pietro per la prima volta nella storia un nordamericano. I cardinali conclavisti ci tenevano alla loro autonomia e non avevano alcuna intenzione di subire ingerenze da governi stranieri o gruppi mediatici. Per questo motivo, anziché pensare ad eleggere un contraltare a Trump come qualcuno avrebbe voluto, si sono preoccupati di spegnere le tensioni con Washington lanciando un segnale di distensione. Ecco che è spuntato il nome di Robert Francis Prevost, l'unico con un curriculum ecclesiastico impeccabile, lontano da ogni eccesso ideologico e al tempo stesso incatalogabile nelle caselle di «pro» o «contro» l'amministrazione repubblicana. Ora che è stato eletto e che sui social si comincia a scavare nelle prese di posizione pubbliche, Leone XIV appare un centrista anche nelle dichiarazioni più rilevanti: sì, sul suo X c'è un post critico su JD Vance e sulla politica migratoria di Trump, ma al tempo stesso è comprovata la sua partecipazione alle primarie repubblicane nel 2012, 2014 e 2016. Considerata la composizione del sacro collegio plasmato dai concistori sbilanciati a «sinistra» da Bergoglio, non poteva uscire un nome più gradito all'attuale inquilino della Casa Bianca. Dolan, amico del tycoon, lo sapeva e così ha puntato su di lui per portare a casa il sogno di un Papa statunitense, saldo nella dottrina ma con l'«odore delle pecore» maturato da missionario in Perù. Il cardinale di New York è stato ricompensato dalla scelta del nome pontificale, nel solco di quel Leone XIII che guarda alla tradizione ma premia la centralità della dottrina sociale della Chiesa. Per eleggerlo, Dolan è riuscito nel «miracolo» di convincere i cardinali latinoamericani che non stavano votando l'uomo dell'odiato Trump, oltre a realizzare il capolavoro di unire i due gruppi di elettori nordamericani di orientamento completamente opposto. Un'unità insperata e che è emersa anche ieri nelle dichiarazioni dello stesso arcivescovo di New York e del suo confratello progressista Wilton Gregory. Entrambi hanno detto che Leone XIV non rappresenta un contrappeso al tycoon e la sua elezione non è una continuazione di quella presidenziale dello scorso novembre. Un piccolo segnale di pace raggiunta all'interno del conflittuale episcopato statunitense, abituato a dividersi spesso sui temi più caldi dell'attualità politica ed ecclesiale. Sì, è vero che Prevost ha solidarizzato con la causa dei Dreamers, i migranti arrivati negli States da bambini, ma stile e parole non sono poi diversi da quelli di Giovanni Paolo II che resta ancora il simbolo per antonomasia del cattolicesimo statunitense duro e puro. Però Leone XIV parla un linguaggio familiare al conservatorismo mondiale su tanti altri temi. Secondo il nuovo Papa, ad esempio «la promozione dell'ideologia gender è fonte di confusione perché sembra creare generi che non esistono». C'è da scommettere che l'ordine esecutivo di Trump per imporre le solo opzioni di «maschile» e «femminile» nei formulari delle agenzie federali non debba avergli fatto dispiacere. Anche in Perù, da vescovo di Chiclayo si è opposto all'introduzione di insegnamenti di genere nelle scuole ed ha criticato la cultura woke, lamentandosi per la «simpatia per credenze e pratiche in contrasto con il Vangelo» diffusa nella cultura occidentale. Gli argomenti per dialogare con l'amministrazione Trump non mancheranno e non è da escludere che Leone XIV possa diventare più in generale un punto di riferimento per il conservatorismo di tutto il mondo. L'Italia di Giorgia Meloni non fa eccezione, anzi. La presenza di un Papa statunitense non ostile all'amministrazione repubblicana potrebbe facilitare le visite del presidente Trump e soprattutto del suo vice cattolico JD Vance a Roma, che potrebbe tornare già per la messa di intronizzazione del 18 maggio, contribuendo indirettamente a rinsaldare quell'asse privilegiato con il governo italiano di centrodestra. La premier italiana che è riuscita a stabilire un rapporto di amicizia anche con un Pontefice di idee e sensibilità lontane come Francesco non farà fatica ad entrare in affinità con Leone XIV, una figura che potrebbe rivelarsi piuttosto simile a quel Giovanni Paolo II che sta tanto a cuore al mondo della destra nazionale ed internazionale. Il terreno comune è quello della difesa dei principi non negoziabili e della rivendicazione dell'identità cristiana in una società sempre più secolarizzata come quella occidentale.
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Il Tempo
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