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Mulè e il lodo sicurezza: “Basta paci-finti inconcludenti”
31-03-2025, 10:00
Giorgio Mulè è oggi vicepresidente della Camera e deputato di Forza Italia, ma segue con passione i temi di Difesa e Sicurezza, anche in virtù degli anni trascorsi a via XX Settembre come sottosegretario con delega all'Esercito e all'Aeronautica (governo Draghi). On. Mulè siamo alla svolta «culturale» sui temi della Difesa? «Vorrei dire di sì, ma vedo invece affiorare i rigurgiti dei “pacifinti” alla ricerca di facile consenso: non vogliono prendere atto della realtà. È il caso dei Cinque Stelle, che nascondono la testa sotto la sabbia pur essendo stati al governo e aumentato le spese per la Difesa... Se vuoi avere un ruolo nel mondo di oggi devi saper fronteggiare le minacce che sono attuali e realistiche, è inutile dire che con un F35 si costruiscono dieci ospedali. È la retorica degli anni '70 di chi diceva di mettere fiori nei cannoni. Il problema ce l'ha anche il PD, perché lì solo poche voci sanno distinguersi: cito ad esempio Lorenzo Guerini, Pina Picierno, Lia Quartapelle». Quindi la maggioranza dovrà cavarsela da sola su questi temi. Ci sono le condizioni? Crosetto parla esplicitamente di un 3,5 % del Pil come obiettivo da raggiungere in ambito Nato. «Al di là dei numeri, il tema è disporre di un sistema di difesa che sia davvero tale. Non com'è attualmente, cioè in grado di difendere il paese per tre/ sei ore in caso di attacco concentrico, anche solo ragionando con le evidenze strategiche attuali, senza pensare alla guerra del futuro. Comunque, va detto che la maggioranza di governo, per la sua storia e per i valori condivisi che esprime, è l'unica garanzia di sicurezza per l'Italia, che altrimenti sarebbe esposta a gravi pericoli. Penso che tutte le componenti politiche della coalizione dovranno dimostrare la maturità necessaria di fronte alle sfide che abbiamo davanti». Mi sembra che per decenni in Italia abbiamo ragionato come se la guerra fosse ormai un relitto della storia. «Perché molti preferiscono leggere solo la prima parte dell'art. 11 della Costituzione e ignorare l'art. 52. Ma così l'esercizio è profondamente disonesto dal punto di vista politico e intellettuale. La difesa della Patria è sacra: lo dice, appunto, la Costituzione. Tranne in questi ultimi anni per lungo periodo si è agito solo cercando di razionalizzare i costi, mentre nel mondo molti stanno facendo il contrario, con tecnologie sempre più avanzate ed efficaci. Poi è arrivata la sveglia del 2022 e la guerra alle porte di casa è diventata realtà, ma avremmo dovuto vedere da tempo cosa hanno fatto russi e cinesi in Africa, solo per fare un esempio, anziché dormire il sonno...degli ingiusti». Anche nel vertice di Parigi voluto da Macron emerge l'intenzione di fare da soli, senza gli Stati Uniti. Non sembra prospettiva in grado di andare lontano. «Il sistema di valori dell'Europa non può che ritrovarsi con l'America. Basterebbe leggere davvero cosa dice il più europeista di tutti, cioè Mario Draghi, quando mette brutalmente in evidenza tutto ciò che qui non abbiamo fatto e che dovremo fare quanto prima. La dimensione euroatlantica è di vitale importanza, anche per il suo contenuto di conoscenze e tecnologia, che ormai sono il vero scheletro dei sistemi di difesa moderni. In Italia si assembla l'F-35, ma è figlio di uno sviluppo americano, cui oggi diamo seguito industriale. Per non parlare dei satelliti, elemento essenziale, presente e futuro, per ogni aspetto della Difesa. Mollare tutto questo è pura follia». Trump ci tira le orecchie, ma non ha tutti i torti dunque. «Di certo ci sta dando la sveglia, mettendo in campo la forza commerciale che hanno ridisegnando la disposizione dei contingenti militari americani in Europa. Lavoriamo con gli americani della Lockheed Martin per i caccia, ma adesso lavoreremo con i tedeschi di Rheinmetall per i nuovi carri e con i turchi di Baykar per i droni: questa visione “paneuropea” è necessaria, fermo restando che tutto parte dal prender atto una volta per tutte che gli investimenti per la Difesa non sono sottratti alla nazione, non sono l'alternativa al pane: quella è pura demagogia, pericolosa e inconcludente». Il mondo militare italiano, con le sue eccellenze e con la sua storia, è pronto a questa sfida? «I temi sono due: le persone e le imprese. Cominciamo dal personale: non possiamo avere un solo equipaggio imbarcato per sei mesi in Marina, mentre gli altri fanno rotazioni molto più rapide. Nell'Esercito, l'età media dovrebbe essere sotto i 30 anni, invece è sopra i 40. Per l'Aeronautica, dobbiamo prepararci a sostenere il progetto GCAP del nuovo caccia di sesta generazione con Giappone e Regno Unito. Poi ci sono le imprese. Qui dobbiamo saper guardare anche oltre campioni nazionali come Leonardo e Fincantieri. Le piccole e medie devono crescere con l'aiuto delle banche, che devono svestire i panni dell'ipocrisia, ed anche sviluppare alleanze internazionali. Insomma, dobbiamo investire e sostenere. Per questo critico fortemente chi avversa la conversione parziale dell'automotive in industria della Difesa: voglio ricordare che quasi sempre le nuove tecnologie sono “dual use”, servono per il civile e per il militare. Da ultimo: occorre superare l'impostazione a trazione francese dell'Europa della Difesa, quel tempo è finito». Arriveremo a mezzi europei smettendo di costruire le infinite varianti che oggi ogni paese si fa in casa propria? «La strada è obbligata. Ipotizzare di avere due carri armati o due caccia di sesta generazione implica spese in ricerca, prima cioè di cominciare a produrre, che sono nell'ordine di decine di miliardi. Lo abbiamo imparato a nostre spese sui vaccini: occorre sfruttare al meglio le economie di scala, altrimenti i costi escono da ogni controllo, per la gioia degli inconcludenti “pacifinti” di cui sopra».
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