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Nel Pd è tutti contro Schlein. Gentiloni suona la carica: “Non c'è alternativa al governo Meloni”
Oggi 22-09-25, 16:33
Di lui sono note le buone maniere, l'eloquio morbido da consesso internazionale, il romanesco scanzonato che usa come vezzo e qualche piccolo miracolo disseminato lungo un percorso politico infinito. Un cursus honorum quasi zen, che ha fatto di Paolo Gentiloni il simbolo di una certa sinistra istituzionale: quella che non urla, ma resta. Gli avversari lo chiamavano «Er Moviola», per prenderlo in giro. Col tempo quel soprannome è diventato una medaglia: l'arte di entrare ovunque in punta di piedi, e di accomodarsi con pochi passi felpati, nel salotto buono. Ecco perché, se uno così si espone pubblicamente per dire che «i partiti di opposizione non sono pronti per vincere le elezioni e a diventare una vera alternativa all'attuale governo di destra di Giorgia Meloni», vuol dire che qualcosa, al Nazareno, stavolta si è rotto. Il momento scelto dall'ex commissario Ue non è casuale. Il Pd è in piena fibrillazione, e la leadership di Elly Schlein viene da settimane di tensioni interne. L'ultimo episodio è quasi da manuale di guerriglia politica: la minoranza interna chiede la convocazione della direzione (l'ultima risale a 7 mesi fa), e la segretaria risponde con una mossa chirurgica: la convoca alla vigilia delle elezioni regionali nelle Marche. In caso di sconfitta del candidato Matteo Ricci, ecco pronto il capro espiatorio: i riformisti che «disturbano» l'unità. Una mossa astuta, certo, ed anche rivelatrice. Perché se sor Paolo prende il «toro per le corna», il messaggio è chiaro: «Se qualcuno vuole salvare la Casa madre, questa è l'ultima campanella». In altre parole: o il Pd si dà una svegliata, o lo rivedremo nel 2027, dopo l'ennesima sconfitta elettorale, al congresso di riscatto. Concetto che avevano ripetuto Romano Prodi e Luigi Zanda, sintonizzati sulla lunghezza d'onda del Nanni Moretti di un tempo: «Con questa non vinceremo mai». Il campanello d'allarme almeno nelle stanze dei riformisti è risuonato. Soprattutto ora che si sono scrollati di dosso la tutela ingombrante di Stefano Bonaccini. I nomi sono quelli di sempre, ma l'atmosfera è cambiata: Lorenzo Guerini, Pina Picierno, e un'area che - pur minoritaria - punta a rimettere in discussione la narrazione dominante, basta sconti. Il primo test sarà proprio il voto nelle Marche, ormai imminente. Schlein, per precauzione, ha già pronta la linea difensiva: «colpa dei gufi», cioè della minoranza che non ha sostenuto la causa comune. Poi c'è lo scenario nazionale. Il famoso 3-3 preannunciato da molti analisti - con Marche, Veneto e Calabria al centrodestra, e Toscana, Puglia e Campania al campo largo - sarebbe vissuto come un pareggio, che avvicina la sconfitta di Elly Schlein. La vera scossa letale agli attuali assetti del Pd però potrebbe arrivare solo da una batosta in una roccaforte, ad esempio in Campania. E all'ombra del Vesuvio aleggia lo spettro di Vincenzo De Luca. Il governatore è ancora lì, scheggia impazzita, a far sentire il fiato sul collo a «quegli scappati di casa» che si ritrovano al terzo piano del Nazareno. Se dovesse cadere anche quella piazza, il gioco cambierebbe del tutto: bye bye Elly. Fantapolitica? Chissà. L'orizzonte, per molti, resta il 2027. Lì si gioca tutto, passando magari per le primarie. Il rischio? Ripetere il copione già visto con Enrico Letta: sconfitta alle urne, dimissioni, congresso. E allora fiato alle trombe, signori si cambia. Anche la colonna sonora è già scelta. Quella di Daniele Silvestri, il cantautore preferito della segretaria con la valigia in mano: «È solo acqua che scorre, è questo tempo che corre».
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