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PASSAPORTOPOLI - Esplode il caso Bangladesh. Così i funzionari arrestati fabbricavano i visti
20-02-2025, 10:04
Dopo la Passaportopoli in Venezuela, ecco la Vistopoli del Bangladesh. E questa volta sono scattate le manette, per tre funzionari italiani che lavoravano all'ambasciata d'Italia a Dhaka e due bengalesi domiciliati a Roma. I cinque avrebbero messo in piedi un sistema di mazzette e traffico illecito di visti talmente sfrontato che uno degli organizzatori della frode, il bengalese titolare di un ristorante nella Capitale, aveva perfino tentato di corrompere il deputato di Fratelli d'Italia Andrea Di Giuseppe, componente della Commissione Affari Esteri, con una tangente da 2 milioni di euro e una percentuale del 25 per cento sui guadagni che il bengalese avrebbe fatto con gli ingressi illegali in Italia grazie al sistema di visti falsi. Ed è proprio dalla denuncia di Di Giuseppe che è partita l'inchiesta della Guardia di Finanza del comando provinciale capitolino, che ha portato ad accertare un giro di permessi di lavoro offerti ai bengalesi, i quali pagavano 15mila euro al loro connazionale impiantato a Roma per poter raggiungere il Belpaese. Il ristoratore, sfruttando le opportunità fornite dal Decreto Flussi, reperiva poi le aziende sul territorio, disposte ad assumere, molte solo su carta, i lavoratori stranieri, che così potevano entrare attraverso canali legali nonostante fossero clandestini. E per ottenere la lavorazione delle pratiche all'estero in tempi record, infine oliava i funzionari della Farnesina che operavano nell'ufficio visti di Dakha. Secondo gli investigatori, infatti, i due dipendenti, indagati per corruzione e sottoposti ai domiciliari, «avrebbero accettato utilità di vario tipo (denaro, dispositivi elettronici, orologi di pregio, viaggi aerei e investimenti immobiliari negli Emirati Arabi Uniti in cambio della loro agevolazione prestata per la gestione delle pratiche relative al rilascio dei visti in favore di soggetti extracomunitari "segnalati" dagli altri indagati». Le indagini avrebbero accertato anche una serie di casi in cui, una volta arrivati in Italia, i bengalesi non avrebbero trovato alcun lavoro ad aspettarli: era una truffa, che per gli inquirenti, ancora impegnati in approfondimenti, sarebbe stata architettata dall'imprenditore, attraverso l'ambasciata a Dhaka e con il sospetto coinvolgimento di funzionari della Prefettura di Roma, i quali sarebbero stati pagati per lo sblocco dei nulla osta propedeutici al rilascio dei visti. Sotto la lente anche presunti rapporti opachi con la Prefettura di Napoli. In quello che si attesta come un imponente traffico illegale di ingressi in Italia e che segue di pochi mesi la sospensione, da parte del dicastero guidato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, delle cittadinanze italiane ottenute con false certificazioni di ius sanguinis in Venezuela, rivelate dall'inchiesta Passaportopoli de Il Tempo. Un altro dei filoni nati grazie alla denuncia di Di Giuseppe, che ha ringraziato le Fiamme Gialle e la magistratura, che «hanno fatto un lavoro eccelso. Un grazie anche alla Farnesina per la collaborazione», ha detto il deputato di Fdi, commentando gli arresti di ieri. «Questo è solo l'inizio, il lavoro investigativo sta procedendo e andrà a fondo. Tutto quello che ho denunciato sta avendo conferma», ha aggiunto, «il Governo e Giorgia Meloni si sono spesi molto per questa battaglia e i risultati si vedono. Questa tratta vergognosa di esseri umani ha anche risvolti di sicurezza nazionale da non sottovalutare. Con questi visti possono entrare senza controllo in Europa e in Italia criminali e terroristi. Io e Fratelli d'Italia», garantisce Di Giuseppe, «non ci fermeremo per bloccare questo scempio andato avanti per decenni senza che nessuno facesse qualcosa». Per il vicepresidente della Camera dei deputati Fabio Rampelli, di Fratelli d'Italia, le manette scattate con l'operazione contro il traffico di clandestini «sono una conferma del grande e coraggioso lavoro svolto dall'onorevole Andrea Di Giuseppe in due anni, nonostante le intimidazioni e le minacce ricevute fin da quando denunciò coloro che cercavano di corromperlo per avere un appoggio nel traffico illecito di visti e permessi. Questione che oltretutto rischia di screditare l'alta missione pubblica della struttura alla Farnesina con tanto di seguito per le ambasciate italiane nel mondo». Per Rampelli una «ragione in più per essere inflessibili nel giudizio politico e in quello giudiziario. Ma siamo solo ai primi episodi di una catena di illegalità estesa e irresponsabile, visto che attraverso la vendita di visti e permessi si mette a repentaglio anche la sicurezza dell'Italia e dell'Europa. Insomma, grazie al governo Meloni, al ministro Tajani e al collega Di Giuseppe si sta smantellando un inquietante verminaio internazionale». E l'operazione di ieri non sarà l'ultima, perché carabinieri e finanza, da marzo scorso, stanno passando al setaccio tutti i documenti e le pratiche sulle cittadinanze concesse per discendenza dal Consolato italiano a Caracas, dopo che erano finite sotto la lente una sfilza di passaporti rilasciati a nuovi italiani sudamericani, tra cui quelli di un'intera famiglia di un magnate libanese-venezuelano, legato al regime di Nicolás Maduro e vicino all'islamismo, al quale in passato gli Stati Uniti avevano perfino ritirato il visto. L'imprenditore aveva dimostrato, insieme a otto parenti, di essere discendente da un avo italiano, tal Giuseppe Panfilio Miliani, nato il Primo giugno 1850 a Poggio di Marciana e partito per Caracas, dove avrebbe sposato una venezuelana. Da lì una strana discendenza: un primo figlio maschio e a seguire una sfilza di progenie femmine, che avrebbero fatto perdere le tracce del cognome. Nelle pratiche della famiglia del magnate erano riportati i documenti per la ricostruzione dell'albero genealogico, che partiva dal presunto avo e che, secondo l'ipotesi investigativa, sarebbe il frutto del furto d'identità dell'uomo nato a metà Ottocento. O, in alternativa, di una compravendita di documenti che farebbero uno strano giro all'interno dei consolati italiani all'estero. Tanto che, a seguito dei controlli della Farnesina, alcuni passaporti sono stati sospesi.
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