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Un papa americano? Il ritorno di Burke, messo ai margini da Bergoglio
Oggi 28-04-25, 08:54
Nella storia della Chiesa, i piani degli uomini spesso finiscono per essere derisi dai capricci del destino. A pochi giorni dalla morte di Francesco, il nome che torna a farsi largo nei corridoi ombrosi del Sacro Collegio è quello che molti credevano archiviato per sempre: Raymond Leo Burke. L'uomo che il Papa aveva voluto confinare nell'irrilevanza ora riemerge, evocato nei sussurri dei cardinali, sicuramente tra i kingmaker del prossimo conclave, ma per alcuni persino come un possibile Papa. Settantacinque anni, fisico imponente, mascelle scolpite, sorriso ironico e tagliente, Burke è un figlio dell'America profonda, con sangue irlandese nelle vene e la battaglia per la tradizione nel cuore. Fondatore del Santuario della Madonna di Guadalupe a La Crosse, negli Stati Uniti, è sempre stato il baluardo di una Chiesa ancorata alla liturgia antica, alla difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, alla famiglia come mistero sacro tra uomo e donna. Convinto no-vax, con il Covid che lo stava portando all'altro mondo, profondo conoscitore del diritto canonico, aveva intuito prima di molti il terremoto che si preparava sotto il pontificato di Francesco. E quando Benedetto XVI, negli anni del suo regno mite e drammatico, lo volle a capo del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e della Corte di Cassazione vaticana, Burke divenne uno dei custodi dell'ordine antico. Fu proprio la sua formazione giuridica a renderlo uno dei critici più severi del motu proprio con cui Francesco riformò il sistema giudiziario della Santa Sede, abolendo antichi privilegi e sottoponendo cardinali e vescovi al giudizio di primo grado. Per Burke era un vulnus alla tradizione, un passo verso una giustizia politicizzata così come si evince dagli sviluppi clamorosi del processo Becciu. Vive a Roma, Cardinale Presbitero di Sant'Agata de' Goti, piccola chiesa fondata da Flavio Ricimero nel cuore pulsante della città eterna, tra la Banca d'Italia e il Viminale. Nessun incarico ufficiale, nessuna posizione di potere visibile. Eppure il suo appartamento è rimasto un crocevia silenzioso: cardinali, vescovi, monsignori varcano la soglia con passo discreto. Cercano consiglio, conforto, forse una parola che ridia senso ai tempi incerti. Lì, tra mura spoglie e libri consumati sulla Madonna di Fatima — di cui Burke è devoto fino alla commozione — si prega, si ascolta, si tace. È in quel silenzio che il cardinale ha forgiato la sua lenta rinascita. Il punto di svolta fu nel 2016, quando, insieme a Carlo Caffarra, Walter Brandmüller e Joachim Meisner, firmò i Dubia, interrogativi formali indirizzati a Papa Francesco dopo l'esortazione apostolica Amoris laetitia. Il primo quesito, il più bruciante, chiedeva se i divorziati risposati potessero ricevere l'Eucaristia senza conversione di vita. La risposta non arrivò mai. Nemmeno alla richiesta d'udienza, avanzata con rispetto nell'aprile del 2017. Nessuna polemica, nessuno strappo pubblico: solo il silenzio, accolto come un invito a meditare sul misterioso agire della Provvidenza. Nelle aule ovattate delle Congregazioni, ancora oggi riecheggiano le sue parole: la denuncia della «cultura anti-famiglia, anti-vita, anti-religione», la condanna dei sogni globalisti che mirano a «eliminare le nazioni per sottomettere il mondo a un'unica autorità totalitaria, dimenticando che è Dio a governare». Anche sull'immigrazione non ha mai avuto esitazioni: «Chi viene accolto deve rispettare con gratitudine il patrimonio spirituale e materiale del Paese ospitante, obbedirne alle leggi, assumersi i doveri civili». Nel gioco antico delle logge cardinalizie, la sua è una rivalsa che non ha bisogno di proclami. L'americano messo ai margini ieri, oggi raccoglie il consenso di chi, stanco di rivoluzioni inesaudite, sogna una Chiesa più solida, più sicura, più romana. E come spesso accade nei labirinti vaticani, il vero potere cresce nell'ombra. Burke non si propone, non chiede, non manovra. Il suo nome circola non come quello di un vincitore designato, ma come l'ago capace di orientare la bilancia, di far saltare piani, di indicare la via. È lui, sussurrano, che guida il fronte silenzioso degli americani, degli africani, degli europei del nord che vedono in Francesco più macerie che conquiste. L'ironia del destino aleggia pesante sopra tutto questo: proprio colui che Francesco aveva voluto silenziare rischia ora di diventare uno degli artefici del futuro. «Così va il Vaticano», sussurra qualcuno nei sacri palazzi. «Nessuno è mai davvero finito finché non è sepolto. E spesso nemmeno allora». Burke, intanto, resta imperturbabile. Frequenta pochi, parla ancora meno. Forse proprio nel suo stesso esilio, Raymond Burke ha trovato la sua forza più grande: libero dalle prebende, libero dai giochi di potere, è diventato ciò che Francesco temeva che diventasse. Un simbolo vivente della Tradizione.
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