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"Un patto europeo per la Difesa". Il piano del ministro Crosetto
Oggi 25-05-25, 07:37
Ministro Crosetto, qual è oggi la posizione dell'Italia rispetto al conflitto in Medio Oriente? «L'Italia è storicamente amica di Israele. Proprio per questo, da amico, non posso far finta di non vedere ciò che di drammatico sta patendo il popolo palestinese. La sacrosanta guerra ad Hamas non rende moralmente accettabile la morte di innocenti, il blocco degli aiuti umanitari, la mancanza di cibo e cure. Per me la morte di un innocente, uomo, donna o bambino, deve essere giudicata nello stesso modo. A Gaza come in Ucraina o a Washington. Non possiamo pensare che qualcuno sia giustificato nel compiere atti contro innocenti. Si possono perdonare gli errori involontari ma non si può e non si deve accettare la normalità del danno collaterale. Tanto più quando diventa quello principale. Hamas va combattuta in ogni modo possibile ma non in questo, non infliggendo queste morti e queste sofferenze a civili innocenti. Queste sono le ragioni per cui faccio fatica a comprendere l'atteggiamento del Primo Ministro Netanyahu. L'Italia ha sempre sostenuto con convinzione la soluzione dei "due popoli, due Stati", unica via possibile per una pace duratura e giusta. E ha dimostrato con i fatti il proprio impegno umanitario e la propria volontà di essere parte della soluzione: siamo stati tra i primi a intervenire con la nave ospedale Vulcano, per curare feriti e ammalati. Siamo stati in prima linea nel programma Food for Gaza per far arrivare cibo, medicinali e beni essenziali alla popolazione civile. Abbiamo organizzato e continuiamo a sostenere un ponte aereo per trasportare i feriti e garantirne le cure nei nostri ospedali, con spirito di solidarietà e rispetto per la dignità umana. L'Italia continuerà a difendere il diritto alla sicurezza di Israele, ma non smetterà mai di affermare con forza che il rispetto del diritto internazionale umanitario e la tutela delle vite innocenti devono sempre prevalere». Di recente si è svolto un incontro con i ministri della Difesa di Francia, Germania, Gran Bretagna e Polonia, formato E5, dove è stato discusso il tema della Difesa UE. Quali sono in concreto i pericoli che corriamo? «Come nazione corriamo molti pericoli perché viviamo tempi di cambiamenti velocissimi degli scenari economici, sociali, tecnologici, industriali e geopolitici. È in corso un nuovo riassetto mondiale e una nuova ridefinizione degli equilibri tra nazioni. In questo nuovo futuro che si sta delineando la competizione sarà senza esclusione di colpi e, purtroppo, potrebbe porsi anche sul piano militare, visto l'atteggiamento di alcune nazioni che non escludono l'uso della forza per acquisire peso, rilevanza e ricchezza. La battaglia per la supremazia tecnologica, il potere digitale, la centralità delle risorse energetiche, di materie prime rare e della stessa acqua, porterà a contrapposizioni senza esclusione di colpi ed un allargamento dei territori da conquistare: fondali marini, Spazio, Luna, Marte. E da soli ci sarà impossibile affrontare i costi per sostenere molte di queste sfide ed i rischi connessi alle contrapposizioni. Anche per questo la nostra storica alleanza, la Nato, e l'Europa, diventano ancora più importanti. L'Europa stessa, poi, corre oggi diversi pericoli, non ipotetici ma reali. Il più evidente è rappresentato dall'aggressione russa all'Ucraina, che ha infranto il principio secondo cui in Europa i confini non si ridisegnano con la forza, ma con la diplomazia, i trattati e gli accordi pacifici tra le Nazioni. La violazione aperta e palese, sfregio di ogni ragionevolezza e del diritto internazionale, ha creato, purtroppo, un terribile precedente. La Russia non è solo responsabile di una aggressione muscolare che ha causato, direttamente e indirettamente, la morte di tanti civili innocenti, ma anche di un fatto. Se la forza diventa il metodo di risoluzione delle controversie internazionali cambia tutto, in peggio. Ma c'è anche il rischio, troppo spesso sottovalutato, che l'Europa si trovi senza capacità di autodifesa e deterrenza se non si muoverà come ci hanno chiesto gli Usa. Basti pensare che, nel 2023, secondo dati Nato, solo 11 dei 31 Paesi membri avevano raggiunto la soglia del 2% del Pil in spesa per la difesa. L'Italia è ancora sotto quella soglia (1,46% nel 2023), ma in crescita, rispetto al passato, e con un grande sforzo corale arriveremo al 2%». Quali sono gli obiettivi dell'E5 e dell'Europa in tema di investimenti per la Difesa? «L'E5, il nuovo e innovativo formato di ministri della Difesa, composto da Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Polonia, che venerdì scorso abbiamo ospitato proprio qui da noi, al Ministero, nasce per imprimere una spinta politica forte alla costruzione di una difesa europea più credibile e coesa. I principali obiettivi condivisi sono: aumentare gli investimenti, portandoli almeno al 2% del PIL, come richiesto dalla Nato e come previsto dalla "Strategic Compass" europea; rafforzare l'industria europea della difesa, attraverso progetti comuni, interoperabilità tecnologica e investimenti nel Fondo Europeo per la Difesa (Edf): accelerare la capacità di risposta comune, con forze rapide realmente operative, logistica integrata e capacità di comando unificato. L'Italia ha proposto, anche in ambito Ue, una sorta di "Patto europeo per la difesa" che preveda impegni comuni, incentivi finanziari e un maggiore coordinamento industriale. È necessario superare la frammentazione: oggi l'Ue ha 17 diversi tipi di carri armati e 29 modelli di fregate, contro i 3 e 4 rispettivamente degli Stati Uniti. L'E5, senza eccessivi clamori ma con un grande e serio lavoro comune, è già oggi il volano della nuova Difesa Ue». Quale sarà il ruolo dell'Europa nella questione Ucraina, specie sul fronte di un «cessate il fuoco»? «L'Europa è pronta a ogni scenario e, ovviamente, a un futuro negoziato. Tuttavia, un cessate il fuoco senza garanzie reali rischia solo di congelare il conflitto e di dare a Mosca tempo per riorganizzarsi e lanciare nuove offensive. Il ruolo dell'Europa, quando finalmente matureranno le condizioni, sarà triplice. Essere garante e osservatore imparziale, magari con missioni civili o militari sotto egida Ue o Onu. Contribuire alla ricostruzione e alla stabilità dell'Ucraina, anche attraverso strumenti come la "European Peace Facility", già usata, in questi anni, per sostenere Kiev. Sostenere la sovranità dell'Ucraina, impedendo che una tregua si trasformi in un cedimento strutturale del Paese. Ma, su questo punto, voglio essere chiaro. Se qualcuno, in Russia o in Europa, pensa a una «smilitarizzazione» dell'Ucraina, a farne uno Stato cuscinetto» o «neutrale», in balia di vicini aggressivi e armati, si sbaglia di grosso. Come Italia e come Ue restiamo a sostegno dell'Ucraina, del suo popolo, fin troppo martoriato, e del suo governo. Ecco perché serve realismo: la pace non si costruisce solo con la diplomazia, ma con una deterrenza solida». La «guerra industriale» russa può essere un ostacolo alla tregua? «Sì, e lo è già, concretamente. La Russia ha riconvertito la sua economia in una vera e propria "economia di guerra": nel 2023 ha destinato circa il 6,7% del Pil alla spesa militare per un totale di oltre 100 miliardi di euro. Ha mobilitato più di 3.000 imprese civili verso la produzione militare e raggiunto livelli di output impensabili per l'Europa: fino a 1,5 milioni di proiettili d'artiglieria all'anno, centinaia di droni e mezzi corazzati ogni mese. Ma il dato forse più allarmante è la dimensione dell'apparato militare bellico che riguarda i soldati. Mosca sta reclutando altri 300.000 soldati, portando gli effettivi delle Forze Armate a 1.600.000 militari attivi e l'obiettivo di espandere la riserva mobilitabile fino a 5 milioni di persone. Si tratta di una massa critica che, unita alla produzione industriale, consente alla Russia di sostenere un conflitto prolungato e di resistere a pressioni negoziali. Finché Mosca percepirà di avere un margine militare per ottenere vantaggi sul terreno sarà sempre poco incline, per usare un eufemismo, a un cessate il fuoco credibile. Ecco perché l'Europa deve rispondere non solo sul piano diplomatico, ma con un salto industriale e strategico nella difesa, per riequilibrare lo scenario e rendere possibile una vera pace, fondata sulla forza di deterrenza e non sulla resa». Qual è la sua posizione sul servizio di leva obbligatorio per ambo i sessi? «Una cosa è certa. Non intendiamo tornare al modello del Novecento, ma occorre ragionare su un modello parallelo alle forze armate professioniste, sempre e solo volontario, ma moderno, flessibile e aperto a entrambi i sessi. Ci sono alcune ipotesi che mi sono state prospettate. Ad esempio, un "Servizio alla Repubblica" di 6 o 9 mesi con una componente militare e una civile (da svolgere in protezione civile, cybersicurezza, emergenze ambientali). La Germania, la Francia e la Svezia stanno valutando proprio modelli simili. Un tale sistema rafforzerebbe la coesione nazionale, la resilienza dello Stato e potrebbe offrire formazione, competenze e opportunità di carriera per i giovani, con concrete possibilità di rafferma volontaria. Ma sono solo ipotesi di studio».
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