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Carioti: nucleare, il governo fa sul serio e l'opposizione si sfascia ancora
24-01-2025, 09:14
Il governo fa sul serio col ritorno all'«atomo di pace», come si chiamava una volta, e la sinistra trova un motivo in più per spaccarsi. Anche se «ritorno» non è il termine giusto: l'oggetto del disegno di legge firmato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, con cui il parlamento è chiamato a dare all'esecutivo la «delega in materia di nucleare sostenibile», è la costruzione di reattori di terza generazione avanzata, già presenti in altri Paesi; di quelli di quarta generazione, la cui entrata in commercio è prevista dopo il 2030; e dei reattori modulari di piccola taglia (Smr), attesi anch'essi all'inizio del prossimo decennio. Con un occhio speranzoso alla fusione nucleare, che, nota il ministro dell'Ambiente, potrebbe arrivare «prestissimo, prima del 2040». Per questo il governo chiede alle Camere anche la delega per disciplinare «la ricerca, lo sviluppo e l'utilizzo dell'energia da fusione». Fissione o fusione, è grazie a reattori di nuova generazione che Giorgia Meloni e i suoi contano di raggiungere nel 2050 l'obiettivo della «neutralità carbonica», che consiste nel non aumentare più la quantità di CO2 nell'atmosfera. Per quell'anno, spiega la relazione tecnica che accompagna la bozza del disegno di legge, si conta di arrivare a «una quota ottimale di produzione da fonte nucleare che copre tra l'11% e il 22% della richiesta di energia elettrica (ovvero tra gli 8 e i 16 gigawatt di capacità nucleare installata)». Per avere un'idea, la più grande delle centrali spente in seguito al referendum del 1987, quella di Caorso, aveva una capacità di 0,86 gigawatt: ora si vuole produrre almeno dieci volte tanto. Il salto tecnologico è la ragione per cui i referendum del 1987 e 2011 non sono ritenuti un problema. La relazione, in cui è evidente la mano del costituzionalista Giovanni Guzzetta, che ha coordinato il gruppo di lavoro del ministro, avverte che il «nucleare sostenibile» del programma governativo «non è tecnologicamente comparabile con quello al quale, anche a seguito di referendum, il Paese aveva rinunciato». Le centrali chiuse dopo quel voto, infatti, erano di prima (Latina) o seconda generazione (Trino Vercellese e Caorso). «Ciò rende giuridicamente legittimo, anche in considerazione della giurisprudenza costituzionale, intervenire sulla materia senza alcun rischio che i precedenti referendari possano costituire un ostacolo normativo». Le ragioni per cui il governo ritiene necessario questo salto in avanti sono quattro. La prima è «la sicurezza nazionale, in quanto l'indipendenza energetica mette in sicurezza l'approvvigionamento energetico del Paese rispetto all'impatto che possono avere eventi geopolitici come quelli dell'epoca presente e, più in generale, le politiche energetiche dei Paesi fornitori». Tradotto: anziché restare col fiato sospeso per ogni scossa che avviene in Russia, Medio Oriente o Libia, o perla senescenza delle centrali francesi, diventiamo autosufficienti, almeno per le fonti con cui produciamo l'energia elettrica. La seconda ragione è il rispetto degli obiettivi di decarbonizzazione fissati negli accordi internazionali: il nucleare non emette CO2 ed è una fonte “verde” anche secondo la tassonomia Ue. La garanzia di continuità nell'approvvigionamento è la terza. La Francia potrebbe smettere di venderci energia, la produzione da eolico e solare può crollare all'improvviso per ragioni climatiche, male centrali atomiche sul territorio nazionale garantiscono che fabbriche, ospedali e abitazioni non smettano di ricevere la corrente necessaria. È il fattore più importante, anche perché si prevede un «significativo incremento» dei consumi elettrici in Italia, trainato «dalla grande richiesta di energia necessaria per alimentare data center e sistemi di Intelligenza Artificiale». Infine, quarta ragione, la sostenibilità dei costi: gas e petrolio possono avere impennate nei prezzi, ma l'atomo genera elettricità a costo certo. Per questi motivi, oggi quasi il 23% dell'energia elettrica della Ue esce da reattori atomici, e Paesi come Francia, Svezia, Finlandia, Estonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia stanno pianificando di aumentare o avviare la produzione di energia nucleare. Gli interventi previsti nel disegno di legge sono numerosi e includono «una opportuna campagna di informazione alla popolazione», assieme ad attività di «promozione, sviluppo e valorizzazione del territorio interessato dalla localizzazione dell'impianto, con oneri a carico del soggetto abilitato». Il governo dovrà adottare i decreti che disciplineranno tutto questo entro ventiquattro mesi dall'approvazione della legge. Per il centrodestra, si tratta di rispettare l'impegno sottoscritto con gli italiani nel programma elettorale presentato nell'estate del 2022: «Ricorso alla produzione energetica attraverso la creazione di impianti di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito e sicuro». Nell'opposizione, però, il contraccolpo è forte. I renziani vogliono che il governo passi «alle modalità concrete per portare il nucleare a essere una realtà vera» e il partito di Carlo Calenda, che ritiene l'atomo «una fonte sicura», invita tutta l'opposizione a «essere costruttiva, senza anteporre l'ideologia ai provvedimenti della maggioranza». Il leader verde Angelo Bonelli, ovviamente contrario, invita chi la pensa come Italia Viva e Azione «ad andare con la destra», peri Cinque Stelle «puntare ora sul nucleare è un rimedio che sarebbe peggiore del male» e il Pd contesta Pichetto Fratin, sostenendo che il nucleare «ha un problema di sicurezza, di costi alti e di tempi lunghi». Esistesse davvero il campo largo, il disegno di legge annunciato dal governo l'avrebbe nuclearizzato.
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