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Longoni: Nato, Russia, Africa, debito. Tutti gli errori del presidente
05-12-2024, 09:15
Macron se ne va? Nemmeno per idea: il presidente rientrato dall'Arabia Saudita sta pensando semplicemente di sostituire Barnier con qualcun altro. «Nel giro di 24 ore». A questo punto non importa chi: «Il capo dello Stato non vuole presentarsi senza governo davanti a Donald Trump questo fine settimana», ha detto una fonte vicina al presidente. L'americano infatti sarà sabato a Parigi per la riapertura di Notre-Dame. Che figura ci farei, è il principale pensiero dell'inquilino dell'Eliseo. Sfrattarlo dal numero 55 di rue du Faubourg-Saint-Honoré è lo scopo reale di Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon; destra e sinistra, è la pelle del presidente che vogliono, politicamente parlando. Emmanuel resiste ma le sue responsabilità nella situazione in cui è finito il Paese sono evidenti. Esaltato dai media internazionali perla competenza e la giovane età, le président non ha conosciuto, bisogna ammetterlo, le vette di leccapiedismo godute da Barack Obama o Angela Merkel. Nel 2017, l'Economist lo aveva descritto come «l'ultima speranza peri liberali europei» contro i populismi dilaganti in Europa. Il Financial Times lo aveva elogiato per l'impegno europeista, soprattutto per la gestione intransigente dei negoziati sulla Brexit e quelli su energia e cambiamenti climatici (vedi il trattato di Parigi sul clima). Time Magazine infine lo aveva inserito anche nel 2024 nella lista delle «100 persone più influenti al mondo». Macron è senza dubbio un leader politico di grande talento e in alcuni casi sta pagando errori commessi dai presidenti che lo hanno preceduto. L'esplosione della spesa pubblica, finanziata da capitali stranieri (spesso arabi), è iniziata con Chirac ed è diventata incontrollabile con Sarkozy e Hollande. Macron, cresciuto nella banca d'affari Rothschild & Cie, poi ministro dell'Economia, ha provato a metterci una pezza con la riforma del sistema pensionistico, aumentando l'età pensionabile da 62 a 64 anni, suscitando proteste di massa. Se ha compiuto un errore, in questo campo, è quello di aver provato a far lavorare i francesi. «Presidente dei ricchi», l'hanno poi chiamato, per l'abolizione della tassa sulla ricchezza (ISF) e le politiche percepite come a vantaggio dei ceti più abbienti. Che in Francia, più che altrove, sono anche quelli maggiormente produttivi. CRISI DEI PARTITI Gli errori del marito di Brigitte sono molto più evidenti nella gestione del potere e nella politica estera. Leader antipopulista ma con tratti presi dal populismo, ha cavalcato l'antipolitica francese, contribuendo alla crisi dei partiti tradizionali. Ha governato pescando ministri a destra e a sinistra, improvvisando alleanze tattiche. Ha sfruttato l'odio della gauche per il lepenismo, rispolverando il “fronte repubblicano” con cui ha fermato Marine e Bardella, per poi affossare le richieste della sinistra di avere qualcosa in cambio, cioè la poltorna di primo ministro. Il disastro delle istituzioni d'oltralpe è figlio del suo progetto di accelerare la disintegrazione delle forze governative tradizionali, socialisti e gollisti, per ricostruire con i loro frammenti non un nuovo partito ma un piedistallo su cui ergersi alla presidenza. La sua creatura si è fatta notare per i cambiamenti di nome - En marche!, Poi La République en marche, poi Renaissance - e per la disinvoltura con cui arruolava fuoriusciti dalle altre sigle ma non occupa un vero spazio politico. Lo si è visto nel confronto con il Rassemblement national, che cambia nomi e tattiche ma è sempre la destra lepenista, e con la sinistra massimalista di Mélenchon. Ma anche la rinascita dei socialisti è un altro sintomo del fallimento di Renaissance. ALTERNANZE Da qui deriva il disastro di un sistema politico, il semipresidenzialismo francese, che pareva granitico. Nessun sistema garantisce di per sè il successo ma in effetti la Francia, con le sue alternanze fra centrodestra e centrosinistra, è stata a lungo un modello per altri Paesi. Un modello di successo finchè si combinava con il bipolarismo gollisti-socialisti. Ora per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, le elezioni legislative e la scelta del premier sono diventate della massima importanza. Prima contava solo chi era presidente, e i pochi casi di cohabitation erano il preludio al cambiamento all'Eliseo. A evitargli accuse di autoritarismo, non ha giovato il ripetuto ricorso all'articolo 49.3 della Costituzione per bypassare il Parlamento su leggi controverse, dalla riforma delle pensioni alla legge di bilancio di Barnier. Ma il presidente più giovane della storia francese ne ha combinate anche in giro per il mondo. Basti ricordare la definizione della Nato «in stato di morte cerebrale» data in un colloquio con l'Economist di fine 2019. Era una sfida a Donald Trump e un tentativo di rimettere la Francia sul podio della politica mondiale ergendosi sulle spalle dell'Europa (che Parigi ama profondamente finchè fa quello che dice lei). Due anni dopo l'intervista, la Russia invade l'Ucraina e l'Alleanza atlantica, dal suo presunto coma profondo, è in grado di armare le forze armate di Kiev che infliggono umilianti sconfiitte a Putin e soci. Discutibili anche i rapporti con la Russia. Macron per mesi ha mantenuto il dialogo aperto con il Cremlino, attirandosi critiche da polacchi e baltici. Poi, con le difficoltà interne e l'elezione di Trump, si è trasformato nel più acceso dei falchi antirussi, affermando che la Francia è pronta alla guerra e discutendo con Londra l'idea di un corpo di spedizione congiunto. Una trouvaille che ha infastidito molte cancellerie occidentali e che rischia di allontanare una tregua alla quale lo stesso Volodymyr Zelensky sembra ormai interessato. C'è poi il capitolo africano. Con l'annuncio, venerdì scorso, da parte del ministero degli Esteri del Ciad della fine dell'accordo di cooperazione sulla Difesa con la Francia, Parigi ha perduto l'ultimo anello della catena di alleanze militari in Africa occidentale: Mali, Burkina Faso e Niger avevano già salutato per passare con i russi. Pessima anche la gestione dei rapporti con i Paesi del nordafrica: Marocco e Algeria. Macron cambierà anche stavolta primo ministro: li cambia come fossero cravatte. Ma le agenzie di rating e la finanza internazionale non perdoneranno un Paese già improduttivo che non sa uscire dall'impasse politico. E appesa all'ennesima cravatta resterà il corpo della Francia.
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