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Mario Sechi: le due strade del centrodestra
09-05-2024, 08:04
Il toga party è (ri)cominciato. I segnali ci sono tutti: prima l'inchiesta di Bari che apre una crisi d'identità tra i democratici del regno di Puglia, poi il botto di Genova con l'arresto del presidente della Liguria Giovanni Toti, infine i rumors sempre più forti su Milano, dove il sindaco Beppe Sala si ritrova a dover convincere la magistratura che l'urbanistica della città, il suo sviluppo, gli investimenti, non sono un capriccio d'interpretazione delle regole da parte dei signori procuratori della Repubblica, ma il cuore dell'azione politica di una giunta, di un governo, di chiunque debba fare l'interesse generale e assicurare un futuro di crescita. Il ballo in maschera della magistratura dovrebbe preoccupare tutti, perché se è vero che chi sbaglia paga e va assicurato alla giustizia, è ancor più vero che il giustizialismo può uccidere una nazione, toglierle ogni speranza, ridurre la sua classe dirigente a poca cosa, cioè a coloro che non hanno un mestiere e si rifugiano nella politica. Thomas Hobbes nel Leviatano, quattro secoli fa, è stato cristallino e profetico: «Se il giudice usa con arroganza il potere di interpretare le leggi, tutto diventa arbitrio imprevedibile. Di fronte a un metodo del genere, ogni sicurezza viene meno». Giovanni Toti non è Al Capone, il suo arresto (basta leggere l'intervista del professor Gaetano Pecorella su Libero) è immotivato, maldestro e sospetto per i tempi e i modi in cui è avvenuto. Toti non è un ladro di galline che si nasconde di notte né un avvoltoio di Wall Street che ruba miliardi, è semplicemente un politico che cerca di rispondere con efficacia ai legittimi interessi che emergono in una democrazia competitiva, è successo ad altri di finire in una zona dove le procure agiscono secondo tesi acrobatiche da dimostrare (Matteo Renzi è il bersaglio più illustre) e succederà ancora a tanti, soprattutto se questa maggioranza non farà quello che va fatto: riformare la giustizia. Indagare per quattro anni nel sottosuolo, ordinare un arresto e vederlo eseguito dopo quattro mesi, la notte fonda, per poi annunciarlo meglio all'alba, bene, tutto questo ha un nome: pesca a strascico, costruzione di un quadro astratto e arresto a orologeria. Esercitiamo il nostro ruolo, c'è libertà di stampa, chiunque vede quello che è successo e qui scriviamo quello che vediamo. E tra le cose visibili c'è un'altra coincidenza temporale: pochi giorni fa il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha annunciato che la separazione delle carriere sarà presentata in Parlamento, magicamente, come un super rapido giapponese - zac! - scattano le manette per Giovanni Toti, governatore del centrodestra. Che tempismo, a un mese dal voto europeo, a un anno dal voto in Liguria, a pochi giorni dall'annuncio del Guardasigilli. Sarà tutto casuale, ma è davvero ben sceneggiato. Chi è il candidato del centrosinistra in Liguria? L'ex ministro del Lavoro che non ha mai avuto un lavoro diverso dalla politica: Andrea Orlando, grandioso poltronista, che naturalmente aspira ad avere un'altra cadrega, quella di presidente della Regione Liguria. La magistratura gli ha già spianato la strada, Giovanni Toti ha la carriera politica rovinata, lo assolveranno, ma è condannato dai titoli sui giornali, la sentenza delle televisioni. Arrestato. Toti, uno che quei contributi li ha regolarmente dichiarati. Il centrodestra ha davanti a sé due strade, resistere, chiedere a Toti di stare al suo posto, subire ancora la gogna - una pena anticipata sempre più lunga - e vedere che succede. Oppure giocare d'anticipo, denunciare il toga party, trovare un candidato e chiamare le elezioni anticipate, mobilitare gli elettori, reagire al colpo di mano che con la misura detentiva ha già alterato il gioco democratico. Nella prima ipotesi c'è l'idea della stoica resistenza, nella seconda c'è il contrattacco. In entrambi i casi, serve un piano. Quello che sta succedendo è grave perché mostra non un disegno della magistratura, ma semplicemente l'anarchia in cui si muovono le singole procure, non c'è un progetto definito di “regime change”, ma un movimento parossistico, un'ossessione che ha un solo obiettivo: il dissolvimento di quello che le correnti della magistratura più radicali definiscono il “sistema” (parola che spunta nella titolazione e nel linguaggio della cronaca dei giornali più vicini alle procure della Repubblica), un soggetto-nemico che nella visione del nuovo radicalismo giudiziario è contro la Costituzione. Dentro questo “sistema” vi è prima di tutto il governo e i partiti del centrodestra, a questo si aggiunge il mondo dell'impresa medio-piccola e tutto ciò che è culturalmente vicino, ma non inteso come organico (quindi anche i giornali, gli intellettuali non allineati). Ma attenzione, il bersaglio è più grande, si allarga ai riformisti del Partito democratico, agli amministratori di sinistra pragmatici, ai centristi rimasti, una classe dirigente che non è di destra ma non è neppure la sinistra qualunquista, eco-insostenibile, filo-russa, anti-israeliana, anti-occidentale. Ecco perché all'opposizione c'è chi deve preoccuparsi, perché una città come Milano - una scintillante metropoli europea con molti problemi ma capace di attrarre investimenti internazionali - non finisca nella ragnatela giudiziaria. Penso che Beppe Sala questo l'abbia chiaro in mente e farebbe bene a raccontarlo a Elly Schlein ammesso che risponda al telefono - e a quelli che in questo momento esultano al tintinnar di manette. Non hanno capito niente. In questo paese chi tocca i fili muore e i fili continuano a essere quelli della magistratura. Non basta avere la tessera del Pd per salvarsi. Da una nuova ondata manettara si salverebbero (per ora) soltanto i grillini, non perché siano più onesti, ma perché non amministrano niente, la prova è che quando hanno governato qualcosa sono finiti tutti sotto inchiesta. Dulcis in fundo, dal sabba delle manette si salveranno solo gli incompetenti, prima di venire divorati anch'essi dalla rivoluzione giudiziaria. Sono tutti dei piccoli Robespierre senza talento, il rivoluzionario mandò il suo compagno Danton alla ghigliottina, non passò molto tempo e anche lui, Robespierre, fu ghigliottinato. La storia è maestra di vita, la rivoluzione mangia sempre i suoi figli, come dimostra il surreale caso di Ilda Boccassini indagata dai suoi colleghi della procura di Firenze. Tanti auguri, è iniziato il toga party.
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