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Daniele Silvestri: "Avrei invitato Pippo Baudo. A Sanremo per me ha stravolto le regole"
Oggi 01-09-25, 09:03
Mosso dalla voglia di sguazzare in un magma di racconti incandescenti, Daniele Silvestri si presenta con una battuta che può suonare come un cordiale avvertimento o come un sottile atto di fede. «Mi piace chiacchierare e far chiacchierare. È quello che so fare», dice mentre la freccia dell'auto scandisce il tempo della telefonata. La sensazione è che tuffarsi in un formicaio di voci sia per lui l'unico modo utile a saziare l'appetito narrativo che lo porta sul palco. L'occasione dello scambio è il lancio delle nuove quattro serate de «Il cantastorie recidivo», lo spettacolo proteiforme con cui il cantautore romano accenderà, dal 2 al 5 settembre, l'Auditorium Parco della Musica. Dopo le 30 date pensate per i 30 anni di carriera, ha sentito il bisogno di ripartire. Allora è proprio recidivo? «Eh sì...Sennò non mi ci chiamavo. Soprattutto quando essere recidivo significa continuare a fare una cosa che mi piace così tanto. Lo sono consapevolmente e felicemente e ho sempre avuto l'ambizione che questo spettacolo potesse andare avanti nel tempo». Quali sono le capacità tecniche e umane che un cantastorie non può non avere? «La curiosità, che è la prima cosa che ci tiene vivi. Senza curiosità non abbiamo interesse. Io sono appassionato delle storie che intravedo o che intrasento». Ha sempre chiamato al suo fianco colleghi e amici. Quali sono i fattori che ha cercato in loro? «Forse la stessa curiosità di prima e il piacere di parlare. Ho sempre cercato qualcuno che avesse una sua profondità. Lo spettacolo viene interrotto dalle chiacchiere e l'obiettivo è portare lo spettatore ad assorbire quello che arriva. Io e il mio gruppo studiamo tanto, ma mi piace che ci sia qualcosa di imprevisto». Se potesse ospitare qualcuno che non c'è più, chi chiamerebbe? «Per la 29esima data avrei dovuto avere come ospite Pippo Baudo e farei il suo nome. Stava già male. Ci abbiamo provato fino all'ultimo. Poi mi viene in mente Gigi Proietti. Sarebbe stato meraviglioso». Qual è il ricordo di Pippo Baudo che custodisce più gelosamente? «La mia mente va a Sanremo. I Festival di Pippo Baudo erano pieni di tensione: se lo poteva permettere, ma aveva un modo di fare quasi dittatoriale. La passione per quello che faceva, però, era vera. Nei miei confronti ha fatto gesti importanti. Ero rimasto deluso dalla prima esibizione di “Salirò”. Ho accennato a Pippo la possibilità di una performance diversa con un attore-ballerino e lui, per me, ha stravolto le regole». Una carriera di successi e la buona, vecchia gavetta. Ricorda un momento in cui ha pensato di non farcela? «Il punto è che io non avevo bisogno di farcela. Cercavo un lavoro ma non pensavo che la musica dovesse coincidere con la mia fonte di sostentamento. Poi è arrivato molto di più di quello che speravo e pensavo. Oggi non do niente per scontato e ammetto che ci sono mondi paralleli che mi affascinano». Per esempio? «Qualche tempo fa, un po' di crisi creativa c'è stata. Ho pensato di iscrivermi ad architettura. Mi è sempre piaciuto disegnare gli spazi, immaginarli». Con «Le cose che abbiamo in comune» si è tuffato nella dimensione dei podcast. Cosa le piace di quel mezzo? «Che è un accettabile compromesso tra l'approfondimento e la brevità. Hai tempo di seguire qualcosa, ma è un formato compatibile con la realtà. Io sono partito al contrario. Mi piaceva far succedere qualcosa di anomalo in uno spettacolo live. Poi mi ha divertito al punto che ho pensato di continuare a fare solo quello». È un romano DOC. Come valuta lo stato di salute della sua città? «Bene e male. Il male viene da decenni in cui non si sono perseguite le cose giuste. Questa amministrazione, però, mi pare che stia correndo ai ripari». Lei canta “So' testardo, so' de marmo” e si sarà pure maledetto per esserlo. Ora lo rivendica? «Assolutamente sì. Anzi, mi sento peggio quando lo sono meno. Poi dipende dal senso che si dà al termine. Per quel che mi riguarda, essere testardo significa provare a perseguire la propria idea di individuo libero». La rivedremo a Sanremo? «Non so rispondere. Mi sembra sempre più difficile perché mi sento sempre meno adatto da un punto di vista anagrafico, ma non escludo nulla». Crede che la sensibilità possa premiare? «Sì, credo di sì. Bisognerebbe avere quel giusto mix tra sensibilità e superficialità. Quella superficialità che basta per impedire che le cose ci schiaccino e che non ostacola però la possibilità di sentire cosa succede intorno a noi».
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