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La giustizia diventa argomento tabù. La grande fuga di Elly dal referendum
Oggi 17-11-25, 08:52
Come in un classico dei giochi di prestigio: un colpo di fumo, un gesto rapido, e puff. Sparire, come nei film in bianco e nero. Far perdere le proprie tracce proprio quando si potrebbe in un prossimo futuro essere chiamati in causa. E persino pagare il conto di un'infausta campagna elettorale. Allora serve una via di fuga su misura, il trucco perfetto per passare inosservati: non è colpa mia. È il vestito confezionato per Elly Schlein: ignorare il referendum sulla separazione delle carriere, far calare il silenzio e sperare che la questione cali di intensità. Cautela massima, una sorta di "Contrordine compagni": bisogna evitare di essere associati ad un eventuale sconfitta, non creiamo le condizioni per essere i capri espiatori. Eppure, nei giorni successivi all'approvazione della riforma costituzionale, la segreteria era partita con il consueto passo falso: il piede sull'acceleratore — «Vogliono zittire i pm». Dal quartier generale rimbalzavano proclami da imminente battaglia campale: «Andremo ovunque a spingere per il No». La stessa sicumera manifestata alla vigilia del voto nelle Marche: «Giorgia stiamo per venirti a prendere». Le prime fila, travolte dall'entusiasmo, erano andate a memoria: «Se vinciamo, Giorgia Meloni deve dimettersi». Poi è arrivato a soffiare un venticello, all'inizio impercettibile: i primi sondaggi con il Sì ben oltre il 50%. E con loro, le domande impertinenti: «E se perde il No, la segretaria del Pd cosa fa? Si dimette?». Da qui il dubbio che ha gelato i fedelissimi: ci conviene davvero personalizzare questa consultazione? Non sarà un boomerang? È bastato guardare il calendario per capire che il rischio è doppio: il referendum è atteso in primavera, probabilmente a marzo. In pratica potrebbe anticipare di qualche mese la convocazione dei gazebo per scegliere il candidato premier alle politiche del 2027. Se il fronte del No dovesse crollare, con quale credibilità Elly Schlein si presenterebbe davanti al popolo delle primarie, o comunque resistere alle critiche che potrebbero pioverle addosso? In pratica il cimitero della narrazione. Così, nel giro di una notte, è nato il piano di emergenza: togliere la giustizia dal tavolo, silenziarla, espungerla dal repertorio quotidiano della segreteria. La nuova parola d'ordine è semplice: non parlarne più, se ne occupino i magistrati. Una ritirata tattica camuffata da prudenza. Un capolavoro di sparizione politica, degno di una spy story. E così è stato: nell'ultima settimana, in tutti i suoi incontri pubblici, a Napoli, Roma, Bologna, in Puglia, la segretaria ha accuratamente tralasciato l'argomento. Zero citazioni, neanche una battuta. Certo la scelta del Nazareno riflette anche divisioni interne. Sui giudici, come in parte era successo a giugno sul lavoro, il Pd si dibatte tra posizioni inconciliabili. C'è una componente abbastanza larga che ha proposto in passato la separazione delle carriere, con versioni molto simili a quella approvata nelle scorse settimane dalle aule parlamentari. E che ha già fatto dichiarazione di voto per il Sì: da Goffredo Bettini a Pina Picierno, da Stefano Ceccanti a Enrico Morando. Poi l'agenda del prossimo anno ha fatto la differenza: restiamo nelle retrovie, non conviene assumerci il peso di una possibile debacle proprio in un passaggio determinante della legislatura. Tanto a battagliare in prima linea c'è l'Anm, siamo in buone mani. Il tentativo è in chiaro: declassare un appuntamento che alle prime battute veniva definito centrale, a fatto minore, di scarsa importanza in vista del duello finale. Servirà ad evitare la resa dei conti? E a fermare tutti quelli che nella coalizione di sinistra sperano nell'arrivo di un salvifico federatore? Sulla carta, il piano di evasione studiato dal Nazareno è impeccabile: se non puoi vincere, almeno non farti trovare. Con la scaramanzia di tutti i fuggitivi: «Adda passà 'a nuttata».
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