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La separazione dei poteri e la sentenza Ue che mina l'autonomia degli esecutivi
Oggi 02-08-25, 16:26
Nel discorso ai giornalisti convocati al Quirinale per la tradizionale «Cerimonia del ventaglio», il Capo dello Stato ha fatto opportuno riferimento - tra l'altro - alla riforma della giustizia e al sacrosanto criterio della separazione dei poteri, fissato da Montesquieu nel 1700, cardine sul quale si reggono, da tre secoli, forma e sviluppo dello Stato moderno. I tre poteri, com'è noto, sono il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario, ognuno dei quali è chiamato a rispettare le proprie prerogative senza «invadere» il campo degli altri. Fin qui tutto bene: il meccanismo ideato da Montesqieu è teoricamente perfetto e si è rivelato, alla prova dei fatti, il migliore possibile per lo sviluppo delle democrazie liberali dell'occidente. E allora dove nasce il problema? Quando si tratta di giudicare quale sia - dei tre poteri - quello che deborda e cerca di condizionare gli altri. Su questo punto - se siano Governo e maggioranza parlamentare a voler limitare i giudici o se sia la magistratura a voler fare politica - la polemica è più accesa che mai. E la recente sentenza della Corte Europea sull'identificazione dei cosiddetti «paesi sicuri» non fa che alimentarla ancora di più, sotto la spinta - se possibile - di una ulteriore «invasione di campo» sovranazionale. La domanda è semplice: può un giudice sostituire le valutazioni di un Governo che risponde ad un Parlamento eletto democraticamente e che è dotato di tutti gli strumenti - a cominciare dal Ministero degli Esteri e dalla sua costante opera di relazioni internazionali - per decidere? Su quali basi un magistrato può condizionare - di fatto le politiche migratorie di un Paese, annullando le scelte politiche e le prerogative costituzionali che assegnano chiaramente al presidente del Consiglio, al governo e al Parlamento (dotato di specifiche Commissioni Esteri) le scelte in materia? Insomma, c'è di che discutere e, purtroppo, di che essere preoccupati. Nello scontro sulle cosiddette «derive» ciascun potere tende ad incolpare gli altri. Stavolta la conseguenza evidente della sentenza europea è che un potere tende a sottrarre competenze ad un altro, il che non è mai un bene. Anche perché maggioranze e governi possono cambiare ma le norme (con i guasti che ne derivano) restano.
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