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Autonomia, firme anti-governo in parrocchia? La Curia scarica tutto sui fedeli
17-08-2024, 15:07
Scaricare le responsabilità dei sacerdoti sui fedeli è cristiano? Qualunque sia la risposta, questo è ciò che sta facendo l'arcidiocesi di Napoli retta dal bergogliano Mimmo Battaglia, ora che la raccolta di firme per il referendum contro l'autonomia all'interno della chiesa di San Giorgio Maggiore, e l'invito a firmare fatto dal parroco durante la messa, sono diventati un caso nazionale. Tanto da obbligare la Conferenza episcopale a prendere le distanze, anche per impedire che la situazione nelle parrocchie del Meridione sfuggisse di mano. Mercoledì l'ufficio per le comunicazioni sociali della Cei, dopo che Libero aveva raccontato la vicenda, ha avvisato che «non c'è mai stata né mai ci sarà un'indicazione da parte della Conferenza episcopale a raccogliere firme contro la legge sull'autonomia differenziata. E soprattutto a farlo nelle parrocchie». Passando così il cerino acceso alla curia partenopea. Gli uffici di Battaglia sono intervenuti ieri, con una nota in cui premettono che «l'arcivescovo ha già espresso chiaramente il suo pensiero sull'autonomia differenziata, in linea con quello espresso dai vescovi». Il presule, infatti, ha preso posizione più volte contro la riforma, definendola frutto di «volontà egoistica e perverso progetto politico», e così via. La netta contrarietà della Chiesa napoletana nei confronti dell'autonomia differenziata, insomma, rimane. Lo stesso comunicato assicura che «nessuna iniziativa è stata autorizzata dalla curia» cittadina: la Chiesa locale si allinea così sulle posizioni della Cei. Anche se la verità è un po' più complessa: sebbene non «autorizzata», quella raccolta di firme con tanto di banchetto nella navata di una chiesa così centrale era nota ed è stata tollerata dalla curia. Fin quando le cronache di Libero, e la testimonianza di chi c'era, hanno reso non più ignorabile l'anomalia di San Giorgio Maggiore. Costretta ad ammettere l'accaduto (mercoledì monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Cei con delega per il Mezzogiorno, aveva detto al Corriere della Sera di non sapere nulla di raccolte di firme in chiesa), l'arcidiocesi napoletana deve però rispondere alla domanda: come è stato possibile questo scivolone a sinistra? Così scrive nel comunicato che «l'impegno di alcuni credenti che hanno a cuore il bene comune resta iniziativa della sfera laicale che non impegna i presbiteri nell'esercizio liturgico del proprio ministero». Ecco chi ha fatto partire tutto l'ambaradàn. Non il parroco don Carmelo Raco, e non i vescovi suoi superiori, che avevano invitato il popolo cattolico a mobilitarsi contro l'autonomia differenziata («È l'ora di non fare silenzio, è l'ora di osare», aveva detto monsignor Savino, ed è uno dei tanti) e sono intervenuti per impedire che la situazione degenerasse solo quando era impossibile non farlo. I fedeli, loro hanno trascinato la chiesa nella contesa. In buona fede, ci mancherebbe. QUEI MODULI IN SAGRESTIA Lo stesso arcivescovato lo ha spiegato ieri all'edizione locale del sito di Repubblica, dove si racconta «quanto trapela dalla curia di Napoli», ovvero che «la raccolta firme in chiesa per il referendum contro l'autonomia differenziata è un'iniziativa partita da alcuni fedeli». Il parroco di Forcella, prosegue Repubblica in difesa del prete, «è finito addirittura nel mirino di chilo accusa di predicare la domenica a favore delle adesioni per il referendum. “Ma il parroco non ha mai lanciato appelli dall'altare”, chiariscono dalla Curia». All'arcivescovato sarebbe bastato leggere il racconto di chi era presente, riportato da Libero. Ma anche nelle testate locali c'è quanto basta. Proprio su Repubblica del 10 agosto, in un reportage da Forcella, si legge che «Vangelo e moduli con le firme si conciliano, eccome. È Andrea», il sagrestano, «che conserva i fogli per il referendum, padre Carmelo Raco sorveglia. In silenzio. “Ho già due moduli pieni”, rivela il sagrestano». Tutto normale per la curia? E il Corriere del Mezzogiorno, a Ferragosto, ha scritto che «è stato il parroco a far girare tra i fedeli i moduli della firma subito dopo la messa e per di più in chiesa: un centinaio le firme raccolte». Altro che fedeli, altro che iniziativa dal basso. È partito tutto da lassù, dai vescovi che hanno annunciato l'arrivo dell'apocalisse. Il prete di San Giorgio Maggiore ha l'unica colpa di averli presi in parola, come stavano per fare altri suoi colleghi. I fedeli sono gli ultimi della catena: prima chiamati a reagire contro la grande ingiustizia e invitati dall'altare a mettere le firme, e poi usati come capro espiatorio, a rispondere dei peccati politici commessi da altri.
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