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Caterina Maniaci: Georges Simenon, oltre la porta c'è il precipizio di un uomo pieno di tormenti
23-06-2024, 11:10
Bernard Foy, come accade praticamente ogni giorno da vent'anni, vede uscire da casa la moglie, Nelly, per andare a lavorare. Lui resta ad aspettarla, a parti invertite, ma questo gli pesa poco; quel che invece non riesce a dominare è un senso di incredulità all'idea che Nelly possa amarlo ancora, con lo stesso trasporto, visto che lui ha perso entrambe le mani saltando su una mina in guerra e non si sente più un vero uomo. Del resto, lei ha sempre avuto bisogno dell'amore fisico ed è una donna ancora più desiderabile di quando l'ha incontrata. Bernard continua a guardare quel che succede nel quartiere dalla finestra, dal balcone, sente i rumori della strada e del palazzo in cui abita in modo preciso, amplificato, come se il suo orecchio fosse diventato ipersensibile, mentre le ore passano in attesa di Nelly, con un malessere che cresce fino a diventare fisico. Le cose peggiorano quando la donna comincia ad aiutare un giovane illustratore che la poliomielite ha inchiodato su una sedia a rotelle e che si è trasferito al primo piano del loro palazzo. A poco a poco, Bernard non farà altro che pensare alla porta di quell'appartamento del primo piano, che nella sua mente ingigantisce fino a diventare concreta e reale, come se fosse in casa sua e lo sfidasse continuamente ad essere aperta... Nessuno come Simenon è capace di compiere, trascinando con sé il lettore, una simile, implacabile discesa nella mente di un uomo dominato dalle sue ossessioni – ossessioni che non potranno che portare a un epilogo fatale. Un lavorio incessante come solo un provetto psicanalista potrebbe mettere in atto, ma senza emettere diagnosi. L'IMPOSSIBILE A UN PASSO Una porta solamente divide il mondo così come Bernard l'ha sempre conosciuto, vissuto, amato. Una porta divide il possibile dall'impossibile, si spalanca sull'abisso, sull'oscurità, sulla fine di ogni cosa. Si piomberà nel nulla e il lettore insieme al protagonista? La porta è il titolo del romanzo di Georges Simenon appena arrivato in libreria per Adelphi (pp.142, euro 18). Un nuovo capitolo della sterminata commedia umana messa in scena dal grande scrittore belga, sulle orme di un altro grande, anzi di un gigante, suo connazionale, Honoré de Balzac. «Nulla che sia umano mi è estraneo», recitava il latino Terenzio e, in fondo, questa è la cifra stilistica dei più grandi, compreso Simenon. Nessun dolore, nessuna abiezione, nessuna tenerezza, nessuna disillusione, nessuna ferocia vengono escluse, censurate: tutto si riflette spietatamente lucido sulla superficie della realtà e perfino oltre, giù in fondo lungo i meandri oscuri dell'animo, talvolta nascosti (o separati) da una semplice porta. L'ANOMALO EQUILIBRIO In questo racconto- come sempre scritto con vibrante e rapida semplicità attraverso poche, essenziali, pennellate, dalle quali emergono volti, profili, strade, interni, cieli, paesaggi – si narra la vita tragica eppure a suo modo felice della coppia che sembra, nonostante tutto, aver raggiunto un proprio, anomalo equilibrio. Ma basta aprire quella porta (un riferimento quasi casuale alla famosa serie di film dell'orrore) e tutto potrebbe cambiare, ma in realtà la soglia è stata già varcata, ha già scavato un solco nella mente e nell'anima del marito e, di conseguenza, della moglie. Anche solo il sospetto di un tradimento a rendere Bernard nuovamente mutilato, incapace di procedere se non a tentoni. Per Simenon l'umanità procede proprio così, travolta dal destino, senza poter resistere alle tentazioni, all'assurdo impulso di distruggere ogni cosa giusta e bella. Simenon non è credente, ma verrebbe da pensare che i suoi protagonisti siano realmente segnati dal peccato originale e cerchino una impossibile redenzione quasi sempre verso l'abisso, non tanto verso il cielo. Nonostante tutto l'occhio spalancato dell'autore ritrae una realtà che grida, implora la salvezza. Capta la presenza di uomini e donne che attraversano la bufera dell'esistenza senza rinunciare al desiderio di tendere una mano, di farsi penetrare da una pietas che si tinge, a volte, di misericordia. In questo romanzo compare la figura di un medico che assomiglia molto al dottore amico del commissario Maigret e a tanti medici che si incontrano nelle storie raccontate da Georges Simenon, che quella mano la vogliono tendere. Come quella che si sforza di guidare Bernard fuori dal labirinto oscuro in cui si sta smarrendo.
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