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Daniele Capezzone: Ilaria Salis prenda nota, quando Enzo Tortora rinunciò all'immunità per farsi processare
18-06-2024, 08:39
Cadeva ieri, 17 giugno, un assai lugubre anniversario: in quella mattina del 1983 avvenne infatti con modalità cinematografiche, con una lunga passerella di fotografi e telecamere già allertate, l'arresto di Enzo Tortora a Roma, in via del Corso, all'Hotel Plaza. Le atroci accuse (tutte destinate a rivelarsi infondate) di traffico di droga e associazione di stampo camorristico dovevano accompagnarsi – nel disegno concepito contro di lui – a un rituale di degradazione ad altissimo impatto mediatico. Di fatto, si è trattato dell'infame inizio della pratica, oggi purtroppo consolidata, del processo mediatico: con l'accusato immediatamente ridotto a mostro e trasformato in un trofeo da esporre davanti all'opinione pubblica. E così, 41 anni dopo, proprio in questi giorni, in quello stesso luogo di Roma è stata apposta una targa commemorativa. Gesto carico di buone intenzioni, non ne dubitiamo. Eppure manca forse qualcosa nelle parole che sono state incise sulla targa stessa, e in particolare nella definizione che qualcuno ha scelto per Tortora («Giornalista e personaggio televisivo»). Tutto verissimo, ovviamente, così come è sacrosanto ricordare il suo «coraggioso impegno per una giustizia giusta». In questo senso, però, sarebbe stata una buona idea ricordare che, per condurre quella battaglia, Tortora fu anche leader radicale ed europarlamentare, eletto nel 1984 a Strasburgo con un risultato personale sensazionale (oltre 400mila preferenze). E questa puntualizzazione ci porta all'attualità dei nostri giorni. Non è infatti mancato, in questi mesi, chi- in modo a nostro avviso surreale - ha accostato alla vicenda di Tortora quella di Ilaria Salis. LA DIFFERENZA SALTA ALL'OCCHIO Ora anche a occhio nudo si vede la differenza tra un gentiluomo liberale non solo innocente ma del tutto estraneo alle infamie che qualcuno aveva provato a buttargli addosso rispetto a una giovane signora per la quale deve certamente valere - ci mancherebbe - il sacro principio della presunzione di innocenza per l'indagine alla quale è oggi sottoposta, ma che arriva - diciamo con un curriculum penale non immacolato e con una vicinanza a gruppi di estrema sinistra dediti agli scontri in giro per l'Europa con estremisti della parte avversa. Ciò naturalmente non giustifica le immagini - che Libero a suo tempo criticò senza riserve - di una Salis trascinata in catene nel tribunale di Budapest. Scena sgradevolissima e ingiustificabile. Ma da qui a equiparare i due casi ce ne corre. È stata proprio Gaia Tortora, figlia di Enzo, con ammirevole delicatezza e understatement britannico, a lasciare a verbale che «ci sono differenze evidenti, che non serve nemmeno sottolineare». Elegante quanto chiara. Per parte nostra, ci permettiamo di aggiungere che non solo è - sempre, chiunque lo abbia fatto - spiacevole paragonare se stessi o altri a un gigante come Tortora. Ma a maggior ragione la comparazione appare fuori luogo se si considera ciò che Tortora fece una volta eletto all'Europarlamento. Dopo l'elezione, gli uffici giudiziari di Napoli presero atto della sopravvenuta immunità parlamentare e revocarono gli arresti domiciliari in cui Tortora si trovava. Nello stesso tempo, la (mala)giustizia italiana domandò all'Europarlamento l'autorizzazione a procedere contro il neoeletto. E cosa fece allora Tortora, l'innocente Tortora, anzi il perseguitato Tortora? Sia in Commissione sia in Aula fu il primo a chiedere che l'autorizzazione a procedere contro di lui fosse concessa, affinché potesse sottoporsi al suo processo. Chiese solo - ragionevolmente - di poter rimanere libero in attesa del giudizio, ma arrivò al punto di minacciare le sue dimissioni nel caso in cui, riconoscendogli immunità totale, i suoi colleghi lo avessero salvato dal giudizio di un tribunale del quale aveva peraltro ogni motivo per diffidare. Ma socraticamente quella fu la linea di Tortora (e di Pannella al suo fianco). COSA FECE ENZO Ecco, se Ilaria Salis volesse comportarsi in modo limpido e inattaccabile, dovrebbe fare così: chiedere e ottenere che il suo processo non svanisca nel nulla. Sarebbe molto triste se invece l'elezione diventasse un taxi per sfuggire al giudizio. Perla cronaca, tra l'autunno e l'inverno del 1985, una sentenza indecente condannò Tortora in primo grado, e lui si dimise dall'Europarlamento tornando agli arresti domiciliari. Sarebbe stato poi assolto nell'86 in Appello e l'anno dopo in Cassazione, animando nel frattempo la battaglia referendaria (poi annacquata e tradita dal Parlamento italiano, nonostante una valanga di sì nelle urne) perla responsabilità civile dei magistrati. Morì tragicamente nel 1988, a soli 59 anni: «Mi hanno fatto esplodere una bomba dentro», disse, riferendosi al cancro che si era fatto strada nel suo corpo proprio negli anni del calvario giudiziario. E si tratta di una storia che dovrebbe essere conosciuta in tutte le scuole, di ogni ordine e grado.
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