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Rompicapo per Macron: cosa fare dopo le dimissioni di Bayrou
Oggi 09-09-25, 15:05
AGI - All'Eliseo il presidente Emmanuel Macron ha accettato le dimissioni formali dell'ormai ex primo ministro Francois Bayrou, destituito con un voto di sfiducia del parlamento. Dopo il clamoroso voto di ieri sera, Macron aveva già "preso atto" delle dimissioni di Bayrou, che era in carica da dicembre 2024. La nomina di un suo successore a Matignon rappresenta un vero rompicapo per Macron che deve fare i conti con un'assemblea molto frammentate, quindi in assenza di una maggioranza solida, e che deve muoversi in tempi piuttosto rapidi. Il capo dello stato "nominerà un nuovo primo ministro nei prossimi giorni", ha assicurato ieri sera la presidenza francese. La nomina di un nuovo primo ministro è un passaggio obbligato in quanto Macron rifiuta di dimettersi prima del termine del suo mandato, nel 2027, ma anche di ricorrere a un nuovo scioglimento dell'Assemblea nazionale, come chiesto in particolare dall'estrema destra di Marine Le Pen. Quest'ultimo sviluppo politico-istituzionale è emblematico della crisi senza precedenti che sta vivendo la V Repubblica francese, nota finora per la sua stabilità. In realtà la crisi è cominciata dopo lo scioglimento a sorpresa del parlamento, deciso nel giugno 2024 da Macron dopo la sconfitta delle forze politiche della sua coalizione alle elezioni europee. Da allora, la Francia ha già avuto tre primi ministri diversi: Gabriel Attal (dal 9 gennaio al 5 settembre 2024), Michel Barnier (dal 5 settembre al 13 dicembre) e Francois Bayrou (dal 13 dicembre scorso a ieri). A questo punto, come i suoi ultimi due predecessori, d'ora in poi Bayrou si occuperà degli affari correnti in attesa del successore, che sarà il quinto primo ministro dall'inizio del secondo mandato quinquennale di Macron, nel 2022. Concretamente, in questo regime, il potere esecutivo ha un margine di manovra molto limitato: non può presentare progetti di legge, modificare regolamenti o avviare misure con un impatto finanziario. In tali casi, le decisioni verrebbero immediatamente annullate dal Consiglio di stato. Ciò esclude, tuttavia, gravi circostanze impreviste, per le quali il capo dello stato potrebbe dichiarare lo stato di emergenza. Il governo uscente, tuttavia, deve garantire la continuità dell'attività amministrativa, ad esempio emanando decreti di nomina e ordinanze per garantire la sicurezza delle manifestazioni, come quelle in agenda per domani e il 18 settembre, indette dai sindacati e sulla spinta del movimento "Blocchiamo Tutto". "Dobbiamo muoverci in fretta": come per ogni rimpasto, questa frase è costantemente ripetuta dagli stretti collaboratori di Macron, preoccupati al pensiero che il presidente infligga loro una tortura che ama, ovvero prolungare indefinitamente il tempo prima di una nomina importante. "Più lungo sarà il periodo di sola gestione degli affari correnti del governo, maggiore sarà il risentimento nei confronti del presidente", ha osservato a Le Figaro un ministro uscente. C'è "urgenza di nominare un primo ministro" perché "non deve esserci alcun posto vacante al potere" alla vigilia del movimento "Blocchiamo tutto" e prima della mobilitazione sindacale del 18 settembre, ha insistito il ministro dell'Interno uscente Bruno Retailleau, leader del partito Les Republicains (Lr), riferendosi a un mese "propizio a ogni sorta di eccessi". Il rebus che il presidente francese si trova ad affrontare è, tuttavia, lo stesso che non è riuscito a risolvere da quando ha sciolto l'Assemblea nazionale, nel giugno 2024: trovare un candidato in grado di sopravvivere in un panorama parlamentare privo di una maggioranza. All'Eliseo, la fragile coalizione costruita un anno fa tra il partito di Macron e la destra di Les Republicains (Lr) è considerata un dato di fatto, ma chiaramente non basta a garantire la stabilità. Per questo motivo Macron ha già esortato i leader della sua coalizione a "collaborare con i socialisti" per "ampliare" la sua base. È però improbabile che si spinga fino a nominare a Matignon il leader del Partito socialista, Olivier Faure, nonostante le sue offerte di collaborazione per formare un "governo di sinistra" che cercherebbe "compromessi". Secondo le persone a lui vicine, Macron preferisce affidare le chiavi di Matignon a una figura "di fiducia". Nelle scorse ore, il nome del ministro delle Forze armate, Sebastien Lecornu, 39 anni, diventato nel tempo un caro amico del presidente, è stato ripetutamente menzionato nel partito di Macron, con alcune fonti all'Eliseo che hanno addirittura riferito che la scelta era stata fatta. Con la consueta cautela: il presidente aveva già voluto nominare questo fedelissimo lo scorso dicembre, prima che Bayrou si imponesse su di lui per Matignon. Viene menzionato anche il nome di Catherine Vautrin, ma la ministra uscente del Lavoro e della Salute rimane discreta, avendo già sperimentato un'inversione di rotta all'Eliseo nel 2022. Nell'ala di sinistra del partito di Macron, oggi la presidente dell'Assemblea, Yael Braun-Pivet, si è detta pronta ad andare a Matignon per attuare un possibile "patto di coalizione" che includa Socialisti e Verdi. Tuttavia, se Macron non dovesse ascoltare coloro che raccomandano "un pizzico di coabitazione", in quel caso potrebbe essere in testa nel totogol delle nomine Xavier Bertrand, presidente Les Republicains della regione Hauts de France. Tanti nomi che di per sé non risolvono il problema: come ottenere, come minimo, la non sfiducia del Partito socialista e della coalizione di sinistra, necessaria per rimanere al potere. La leader dei Verdi, Marine Tondelier, ha esortato il presidente a "incontrare" i leader dei partiti di sinistra "prima di qualsiasi decisione". Il macronista Gabriel Attal ha chiesto la nomina preventiva di un "negoziatore" in grado di verificare possibili coalizioni, una proposta che sembra essere nata morta. Diversamente da quanto successo nel 2024 per Attal, Barnier e Bayrou, questa volta, non ci si aspetta nemmeno che Macron avvii "consultazioni formali", quindi i tempi della nomina dovrebbero essere relativamente brevi. I suoi strateghi ritengono che abbia già invitato le forze politiche al dialogo. Probabilmente dovrebbe affidare direttamente il mandato al futuro primo ministro, chiedendogli di negoziare un programma minimo, che includa una bozza di bilancio per il 2026, priorità assoluta. Per gli analisti politici, il presidente sa di avere in mano solo carte imperfette e la carta vincente che gioca a questo giro rischia di essere l'ultima prima di dover - in caso di un altro fallimento - sciogliere nuovamente l'Assemblea, come chiede con insistenza il Raggruppamento nazionale di Le Pen.
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