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Altro che nuovi edifici. Ecco la mappa di tutte le moschee illegali a Roma
Oggi 30-06-25, 07:40
A Roma i luoghi di preghiera islamici sono ormai più di cinquanta. A distanza di anni, la situazione non solo non è cambiata: si è cristallizzata in una realtà parallela che corre su un binario separato rispetto allo Stato. Un mondo composto da «sale per pregare» ricavate in garage, scantinati, magazzini, ex negozi e capannoni industriali, dove ogni venerdì si riuniscono centinaia di fedeli musulmani per la preghiera. Strutture nate al di fuori di ogni pianificazione urbanistica, prive spesso dei requisiti minimi di sicurezza e che sfuggono ai controlli delle autorità. Eppure, tutto questo era già noto. Da anni si parla di moschee «clandestine» o «non autorizzate». Dal centro alle periferie, passando per la Circonvallazione Gianicolense, le sale di preghiera non autorizzate a Roma sono aumentate. Nella Capitale della cristianità l'Islam si espande a macchia d'olio, arrivando anche a «sconfinare» accanto alle chiese, come nel caso del centro culturale islamico di piazza Vittorio proprio sul sagrato della parrocchia di Sant'Eusebio o quella in via di San Vito a pochi metri da un'altra chiesa. Nel 2015 se ne contavano 38, ma si ipotizzava che le realtà effettive fossero almeno il doppio. A distanza di quasi dieci anni, le cifre sono cambiate nella sostanza e nella forma: oggi quei centri sono aumentati, più strutturati e soprattutto più radicati nei quartieri della capitale. Il cuore dell'Islam romano non batte nei locali della Grande Moschea dei Parioli, l'unica struttura ufficialmente riconosciuta dallo Stato italiano. Oggi il panorama è molto più complesso. Quartieri come Centocelle, Tor Pignattara, Torre Angela, la Magliana e il Prenestino ospitano decine di sale di preghiera informali. E proprio a Centocelle nascerà a breve una nova moschea, la seconda più grande della Capitale dopo quella dei Parioli. Sarà riconoscibile, visibile. Ma il resto rimane nei garage, con tutto quello che questo comporta, perché nell'edificio di piazza delle Camelie non confluiranno le saledi preghiera sparse nel quartiere o in quelli limitrofi. A maggio 2024 la Camera ha approvato la cosiddetta »legge anti-moschee», che ora é in attesa di essere discussa al Senato. È stata definita tale dalla comunità islamica italiana che si è subito mobilitata per contrastarla. La proposta, a prima firma del capogruppo di Fratelli d'Italia Tommaso Foti, modifica l'articolo 71 del Codice del Terzo Settore e interviene sulla compatibilità urbanistica delle sedi usate dalle associazioni di promozione sociale. In sostanza, stabilisce che solo le confessioni religiose che hanno firmato un'Intesa con lo Stato possano accedere a benefici per l'uso di spazi destinati al culto. Le altre, tra cui l'Islam, restano escluse. E questo, per la maggior parte delle sale da preghiera islamiche in Italia, potrebbe significare una sola cosa: chiusura. A Roma, come nel resto del Paese, gran parte dei luoghi di riunione per la preghiera non hanno sede in immobili con idonea destinazione d'uso. Sono locali adattati, concessi in affitto da privati, spesso in zone periferiche, dove l'offerta di immobili è più economica e i controlli meno stringenti. Se la legge dovesse passare anche in Senato, centinaia di questi luoghi rischierebbero lo sfratto o la chiusura forzata. La comunità islamica parla di «legge iniqua, anti-costituzionale e discriminatoria» con il «chiaro intento di colpire la nostra comunità». La questione si trascina da decenni. L'Islam italiano, pur rappresentando trai due e i tre milioni di persone, non ha mai ottenuto l'intesa con lo Stato. Questo perché non esiste un referente unitario e riconoscibile. E se questa legge sarà approvata, il 90% dei luoghi di culto islamici potrebbe chiudere. Ma in assenza di una normativa chiara, il rischio è duplice: da un lato lo Stato lascia proliferare situazioni fuori controllo, dall'altro reagisce con leggi che rischiano di trasformare un problema urbanistico in un conflitto identitario. E Roma, ancora una volta, si conferma laboratorio di un'integrazione mancata. Nel frattempo, le «moschee» informali continueranno a esistere. Invisibili, non registrate, non regolamentate, fuori da ogni intesa e ogni legge. Nei quartieri romani dove più alta è la concentrazione delle sale di preghiera, i residenti devono accettare, senza poter fare nulla, le «moschee» nei box auto, magari accanto a quello in cui tutte le sere parcheggiano la propria automobile, come accade da anni in alcune realtà a Tor Pignattara.
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