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Bisignani sul processo a Becciu: sotto il Cupolone va in onda un cinepanettone alla Vanzina
Oggi 23-09-25, 08:46
Caro direttore, «meglio di un film di Vanzina». Così, con un sorriso beffardo, un vecchio cardinale che conosce bene il diritto e soprattutto il nuovo Papa, ha commentato l'atto di ricusazione depositato ieri dagli imputati del «processo del secolo»- Becciu, Crasso, Mincione e Tirabassi - contro il procuratore Alessandro Diddi. Caso unico: lo stesso pm a rappresentare l'accusa sia in primo che in secondo grado. Una follia giuridica. Il porporato, aggiustandosi lo zucchetto e la fascia di seta moiré rossa, giocherellando con la gran croce sul petto, ha alzato gli occhi al cielo e con un sibilo ha aggiunto: «Eppure glielo avevamo ripetuto già nelle Congregazioni generali: questo processo non si doveva fare...». Ma si sa, anche in Vaticano nessuno ascolta. Ed effettivamente per Papa Prevost, oggi, è un bel problema. Perché il procuratore che a Roma difende boss e delinquenti di rango, Oltretevere fa il Torquemada. Ha tre giorni per replicare, poi la patata bollente passerà alla Cassazione vaticana - cardinali Farrell, Lojudice, Zuppi e Gambetti - senza scadenze, senza fretta. Eternità e burocrazia si danno la mano, con il Segretario di Stato Parolin e il Sostituto Edgar Peña Parra, arcivescovo venezuelano, sempre più preoccupati dalla piega che sta prendendo questa telenovela, non rosa ma porpora. Con grande aplomb Diddi, allontanandosi dall'aula, ha dichiarato solenne: «Finalmente ho la possibilità di difendermi da illazioni». Peccato che nero su bianco restino le chat imbarazzanti: signore che di giorno e di notte pilotano il superteste Perlasca, anche lui in tonaca, seguendo suggerimenti che paiono venire direttamente dagli investigatori. Almeno così dichiara l'interlocutrice. E a rendere il quadro grottesco, un audio dove un dirigente della gendarmeria «istruisce» monsignor Perlasca, il «pentito» della storia, su come incastrare altri, quando era ancora indagato. La difesa parla di prove occultate e inquinate, di contatti irregolari e di falsità varie: accuse pesantissime. «Dal caso Becciu al caso Diddi», ridacchia un vecchio monsignore. Sin dall'inizio, del resto, il copione era chiaro: un cinepanettone in salsa vaticana. Arresto-show di Cecilia Marogna, mezza suora e mezza spia da discount. Un procuratore che riceveva messaggini anche notturni: 133 in tutto, ne deposita 126 ma ne rende leggibili solo 8, e tiene il resto nel cassetto. Non giustizia, ma sceneggiata. La ricusazione lo dice chiaro: processo teleguidato via chat. Non sono solo le prove a far crollare l'impianto, ma anche il metodo. Ora resta l'imbarazzo di papa Prevost, costretto a spiegare come mai la Chiesa di Bergoglio si sia fatta incatenare a un processo-farsa. E quando qualcuno chiede al vecchio cardinale perché tutto questo sia stato possibile, lui farfuglia, e a bassa voce: «Qui non ci sente nessuno... Angelino era diventato troppo potente. E al nostro compianto e amato vescovo di Roma... questo non piaceva». Sia fatta la volontà di Dio. Amen.
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