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Dopo Prodi anche Minniti. Quei due Pd divisi su tutto: e ora Schlein è più sola
05-02-2025, 08:56
Una convivenza forzata, di quelle che si trascinano per inerzia, senza più amore. Come certe coppie che restano insieme solo per sbrigare gli affari correnti, ordinaria amministrazione. Sotto il tetto del Nazareno, insomma la soap che ha più repliche di Beautiful. Con la capofamiglia che ha pure smesso di rispondere alle sollecitazioni di un branco numeroso, «parenti serpenti» che vorrebbero mettere bocca su tutto. Clima da giro di boa della legislatura in pratica, «quando il gioco si fa duro» perché si comincia a pensare alle liste, in più è tornato in scena il «nonno», Romano Prodi, che sempre più apertamente corregge la segretaria, definendola come «unfit». Così tornano a galla antiche divisioni, i problemi di sempre. A partire dal tema dei migranti, che sull'onda del caso Almasri, ha riportato il Pd sulle barricate, per preparare il terreno all'audizione di stamani dei ministri Nordio e Piantedosi a Montecitorio. E puntualmente nei gruppi parlamentari dem è tornato ad aggirarsi lo «spettro» di Marco Minniti, l'ex ministro dell'Interno, e titolare di una «ricetta» completamente alternativa rispetto a quella della casa madre. «Gli accordi bilaterali, discutibili o meno, non solo con la Libia ma anche con la Tunisia o la Costa d'Avorio, hanno funzionato. Il rapporto con l'Africa è strategico», ha detto l'attuale presidente della fondazione Med-Or, una linea alquanto diversa da quella tenuta fino ad oggi dal Pd. «Mi piace il piano Mattei», ha aggiunto, «l'intuizione è giusta. Concentrerei tutte le mie risorse finanziarie e politiche per farne un piano europeo». Con sprezzo del pericolo, la condivide il senatore Filippo Sensi: «Marco Minniti ha il pregio dell'intelligenza e della chiarezza e ricorda a tutti che la questione migratoria va affrontata, e non evitata o strumentalizzata. Metodi, forme, soluzioni giuste, umane e complesse sono l'unica strada per dare risposte, e non eluderle». Pochi giorni fa era intervenuto anche un altro pezzo da novanta, già Presidente della commissione difesa a Palazzo Madama, Nicola Latorre, che parlando sul caso del generale libico, non ha avuto dubbi: «Penso che l'iniziativa di rimpatriarlo fosse quella da adottare. Si sarebbe dovuto dire da subito che quella di Almasri è una questione di sicurezza nazionale. E chiudere così la partita, rivendicando la decisione degli organismi competenti di rimandare in patria il libico». Considerazioni che Elly Schlein derubrica «al Pd di prima», per mettere in chiaro che ora comanda lei, «non c'è spazio per i manovratori che si muovono nell'ombra, chiacchiericcio inutile». Il risultato è che l'attuale inquilina del terzo piano del Nazareno è sempre più sola, o meglio, è sempre più difficile intercettarla. Anche Dario Franceschini, che pure fu il più solido sponsor alle primarie, dopo il «famigerato» lodo, è ormai considerato un commensale sgradito, rapporti praticamente interrotti. In questo modo il Pd si presenta come un Giano bifronte, con posizioni diametralmente opposte al suo interno. Come sul jobs act, «bestemmia» elaborata durante gli anni di governo di Matteo Renzi. Ora l'area schleiana, dopo aver raccolto le firme per il referendum con la Cgil, farà campagna elettorale per l'abrogazione a braccetto con Maurizio Landini. Ed un'altra parte del partito, i riformisti, sarà sull'altro fronte. «Non approvo il referendum, non mi pare che il complesso del Jobs Act meriti una battaglia politica di cancellazione», spiega ad esempio l'ex ministro Graziano Delrio. Ed il suo collega Arturo Scotto: «quella legge non la votai, ho firmato i quesiti referendari e voterò per cancellarlo». Insomma stessa famiglia, ma destinazioni contrapposte. Sarà anche per questo che il tema del Centro è tornato di stretta attualità, evadere dal Nazareno è diventato un po' il sogno dei cattolici e dei liberaldemocratici costretti ad una difficile convivenza interna. «Una risposta all'eccessivo silenzio autocompiaciuto sul relativo rafforzamento del Pd in un gioco a somma zero col Movimento Cinque Stelle», conferma il costituzionalista Stefano Ceccanti, organizzatore dell'incontro di Orvieto con Paolo Gentiloni. Non proprio un film romantico, tra liti, incomprensioni ed antichi rancori, l'happy end è sempre più lontano. Poi chi sarà il protagonista del cartellone? La segretaria «unfit», il «diabolico» avvocato a 5 Stelle, o alla fine spunterà fuori un nuovo principe azzurro?
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