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Imane Khelif rifiuta i test e fa ricorso: ecco cosa è emerso
Oggi 03-09-25, 02:31
Nell’ultima storia Instagram di Imane Khelif campeggia un consiglio per gli acquisti: «Avec Isis Détergent Algérie lavez plus de linge et faites plus d’économies». Tradotto dal francese, «con Isis Detergent Algeria lavi più bucato e risparmi di più». È la pubblicità di una linea di detersivi, non c’entra nulla con la sigla del sanguinario Stato Islamico (l’azienda è stata fondata in Algeria nel 2000) ed è un ossimoro sintomatico di quello che ruota attorno alla controversa figura della pugile algerina: da una parte invita a ripulire al meglio, dall’altra non dà modo di far chiarezza sulla sua vicenda che si trascina da più di un anno. «Sono forte e sono la numero uno», ruggiva Khelif in una recente intervista, dopo che aveva smentito le sibilline parole del proprio manager sulla possibilità di «lasciare la boxe», eppure stavolta sembra fuggire dal ring come aveva accusato di aver fatto Angela Carini alle Olimpiadi, dando perciò il destro a quanti puntano il dito sul suo “reale” genere sessuale e sui suoi tratti mascolini. Khelif, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024 nei 66 kg (dopodiché non ha praticamente mai più partecipato a combattimenti ufficiali), lo scorso 5 agosto ha infatti presentato ricorso al Tas di Losanna per ribaltare la decisione di World Boxing che non l’ha autorizzata «a partecipare alla Box Cup di Eindhoven, né a nessun evento World Boxing» finché non si fosse sottoposta «al test genetico sul sesso». LA SVOLTA La nuova federazione mondiale del pugilato (quella che nella vulgata dei media mainstream era “giusta”, in contrapposizione ai cattivi e presunti filorussi della Iba, coloro che avevano fatto esplodere il caso-trans ai Giochi) ha introdotto a maggio 2025 un test di tipo Pcr per subordinare l’accesso alle categorie femminile in base all’assenza del “gene Sry”, situato sul cromosoma Y, un indicatore di mascolinità. Tale metodo non escluderebbe solo gli atleti transgender biologicamente uomini ma anche sportive di sesso femminile con cromosomi XY, ovvero una delle fattispecie che ricadono nelle «differenze di sviluppo sessuale», o «intersessualità». [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:43802777]] Categoria quest’ultima alla quale apparterrebbe Khelif, stando a voci mai corroborate da comunicazioni o documenti ufficiali: tutto gossip buono ad alimentare la morbosità e non certo a risolvere la faccenda. Lo scorso 4 novembre era stato condiviso su X lo screenshot di un tweet di Reduxx.info che riprendeva una parte di un articolo, redatto per la testata online Le Correspondant dal giornalista francese Djaffar Ait Aoudia, intitolato «La pugile algerina Imane Khelif ha cromosomi XY e “testicoli”. Un rapporto medico franco-algerino lo ammette», dove si spiegava che Imane sarebbe «“nato maschio con testicoli interni e un microfallo” rendendolo non idoneo a competere negli sport femminili». Impossibile - ovviamente- confermare anche una sola parola. Ora, al di là dei pettegolezzi, quel che resta di concreto è la contestazione di Khelif riguardo ai nuovi regolamenti stabiliti dall’organismo mondiale del pugilato. Imane e il suo entourage li considerano provvedimenti ad personam - ma del resto è stata proprio lei assieme alla taiwanese Lin il casus belli dell’intera questione a Parigi (dopo che entrambe avevano fallito due test Iba nel 2023), cosa si aspettava? - e anzi ha domandato di poter partecipare «senza test» ai Campionati del Mondo di Liverpool, che inizieranno giovedì e dureranno fino al 14 settembre. Niente da fare: il primo settembre Tas ha esaminato la domanda e ha risposto picche, non ha accolto la sospensiva e sta anzi raccogliendo memorie scritte delle parti e fisserà un’udienza, da cui potrebbe finalmente uscire la parola fine sul caso. VERSO LOS ANGELES È sempre più evidente come il rinnovo avvenuto lo scorso marzo della dirigenza apicale del Comitato Olimpico Internazionale abbia portato con sé anche un netto cambio del vento. Nel suo primo discorso da neo-presidente del Cio, Kirsty Coventry preannunciava un’intervento dirimente prima di Los Angeles 2028, indirizzando la discussione lontano dai buonismi woke che a lungo l’hanno fatta da padrone creando scompiglio (negli Usa è emblematico il caso della nuotatrice Lia Thomas, uomo passato fra le donne dominando le categorie, ma infine fermato e privato dei successi): «È molto chiaro che le donne transgender sono avvantaggiate nella categoria femminile e possono togliere opportunità che dovrebbero essere equamente distribuite tra le donne». Il ripristino nello sport mondiale- non solo nella boxe ma anche nel nuoto e nell’atletica- dei test genetici per stabilire il sesso biologico, in vigore alle Olimpiadi tra il 1968 e il 1996, è un passo deciso per ristabilire equità e non arrendersi a quella pelosa inclusività che di fatto esclude, avvantaggiando sinistre ideologie mascherate da diritti e avvelenando perfino lo sport.
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