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Niente piazza e telefonata a Meloni: cosa c'è dietro la metamorfosi di Schlein
Oggi 24-06-25, 10:37
Apparentemente, tutto come prima. Ieri, a Montecitorio, durante le comunicazioni della premier, il campo largo si è distinto con le solite divisioni e astensioni incrociate. Eppure, sotto traccia, qualcosa si sta muovendo. Certo, la scossa è arrivata con l'operazione il "Martello di mezzanotte". Le avvisaglie, però, sono precedenti e risalgono al flop referendario e al flebile tentativo della quasi vittoria. In quei giorni, il Nazareno ha potuto constatare che il posizionamento di Giuseppe Conte non sarebbe cambiato. Anzi, il leader del M5S avrebbe pigiato l'acceleratore a più non posso per vendersi come il vero ed unico alfiere della "pace". Non fidatevi delle mezze misure. Esattamente quello che è successo con la sfilata di sabato al Colosseo e con il raduno dell'Aja di oggi, il controvertice Nato, sponsorizzato dall'ex Presidente del Consiglio. L'intervento americano di sabato notte ha fatto il resto. «Se non ora, quando?», si sono detti i pochi dirigenti del Pd che conferiscono direttamente con la segretaria. La seconda variabile che ha iniziato a pesare è stata quella dei rapporti con i socialisti europei. Impossibile per la segretaria approfondire la distanza con le socialdemocrazie, arrivata già, almeno a Strasburgo, vicina allo strappo definitivo. È in questo contesto che nasce la piccola svolta del fine settimana. Un "missile" a doppia gittata: il quasi amico di via di Campo Marzio, il vertice di S&D a Bruxelles, con un messaggio indiretto anche per la minoranza riformista. Si concretizza con una decisione improvvisa: quella di avviare una conversazione telefonica con Palazzo Chigi, ovvero con la "cara nemica" Giorgia Meloni. In un passaggio molto delicato della situazione internazionale, l'inquilina del Nazareno ha chiesto alla premier «la certezza che l'Italia non metta a disposizione le basi», ma ha anche ventilato un possibile sostegno del più rilevante gruppo parlamentare dell'opposizione al governo. Non ancora e non proprio "unità" nazionale, ma qualcosa che potrebbe assomigliarle. Il senso dell'iniziativa lo ha spiegato Stefano Bonaccini, lo sfidante sconfitto alle primarie, trasformatosi nel frattempo nello "zio" saggio di Campogalliano. «Ha fatto benissimo Elly a chiamare la Presidente Meloni. Ha lo status giusto per guidare il Paese, anche se temporaneamente dall'opposizione». Un altro passaggio chiave è una dichiarazione, sempre di domenica, sull'Iran: «Siamo tutti d'accordo che il regime teocratico e liberticida di Teheran non possa sviluppare un'arma atomica». Un posizionamento netto, particolarmente gradito dagli interlocutori europei del Pd. Nelle stesse ore, il partner del campo largo sbandierava ai quattro venti la sua nuova bandiera: «Giù le mani dagli ayatollah». Insomma vicini mai. Che cosa hanno in mente i dem con la brusca frenata di questi giorni? Contrapporre alla sinistra barricaderia e oltranzista dei pentastellati e di Avs una sinistra “responsabile” in grado, nelle situazioni difficili, di dare una mano al governo nazionale. Un piccolo passo per l'uomo, un grande passo per la coalizione che solo la settimana scorsa ha inscenato un sit in a Palazzo Madama. Certo, non è una linea netta e definita, tutt'altro. Piuttosto un tentativo che nasce da uno stato di necessità; dalla paura di andarsi a schiantare con un'alleanza che chiede troppi sacrifici al Nazareno ed offre il volante saldamente nelle mani di Giuseppe Conte, di Angelo Bonelli e di Nicola Fratoianni. Tre driver spericolati che lambiscono il ritorno da Putin (nella mozione di ieri alla Camera, il M5S paventa una possibile collaborazione con la Russia sul gas) e la contestazione della Nato: un clima da anni '70. Riuscirà la movimentista Elly Schlein ad adattarsi a vestiti che, a occhio, sembrano più consoni a Paolo Gentiloni? Quanto durerà la “svoltina” di fine giugno? La risposta si trova nella Smorfia napoletana: la paura (di Giuseppe Conte) fa novanta.
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