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Il ritorno di padre Georg: “Il Ratzinger segreto. Il rischio di diventare Papa gli rubò la pace del cuore”
19-04-2025, 11:06
Monsignor Georg Gänswein, arcivescovo titolare di Urbisaglia, attualmente risiede a Vilnius, in Lituania. Il 24 giugno 2024 Papa Francesco lo ha infatti nominato Nunzio Apostolico nelle repubbliche baltiche, incarico diplomatico che lo rende «ambasciatore» della Santa Sede in ben tre stati: Estonia, Lettonia e Lituania. Gänswein è però noto a tutti per essere stato il fedele segretario particolare di Benedetto XVI, che lo prese al suo fianco come suo più stretto collaboratore fin dal 1996, quando il Cardinale Ratzinger era il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l'ex Sant'Uffizio. Monsignor Georg è colui che ha vegliato sul Pontefice fino agli ultimi istanti della vita terrena, conclusasi nella prima mattinata del 31 dicembre 2022. Da quel momento l'arcivescovo si è chiuso nel più totale riserbo, facendo un'assoluta eccezione oggi per Il Tempo, in occasione del ventesimo anniversario dell'elezione al Soglio di Pietro di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. Eccellenza, esattamente vent'anni fa, il 19 aprile 2005, il Cardinale Joseph Ratzinger veniva eletto Sommo Pontefice della Chiesa Universale assumendo il nome di Benedetto XVI. Che ricordo ha di quei momenti? Che emozioni provò quando lo vide per la prima volta vestito di bianco? «I ricordi sono vivissimi, come se il 19 aprile 2005 fosse ieri. Ho visto il nuovo Papa per la prima volta nella Cappella Sistina, circa un'ora dopo l'elezione. Lo vedevo davanti ad una lunga fila di Cardinali che gli stavano promettendo reverenza e obbedienza, uno dopo l'altro. Inaspettatamente, dopo i Cardinali, anch'io ho potuto salutarlo. Mi sono inginocchiato, come poco prima i Cardinali, gli ho fatto gli auguri per il nuovo ministero petrino e gli ho offerto la mia piena disponibilità nell'assisterlo anche in futuro, se lo avesse desiderato. Ha accettato subito volentieri. Le emozioni mi facevano battere il cuore in un modo indescrivibile». Cosa accadde in quei giorni tra la morte di Giovanni Paolo II e l'elezione di Benedetto XVI? «I giorni prima del Conclave erano strapieni, perché c'erano i Novendiali, cioè i nove giorni di lutto dopo la sepoltura di Giovanni Paolo II in cui tutti i Cardinali presenti a Roma, anche gli ultraottantenni, si riuniscono ogni mattina per le Congregazioni generali. A Joseph Ratzinger, da Decano del Collegio cardinalizio, spettava di presiedere e guidare tali incontri. Poi al pomeriggio c'erano le celebrazioni eucaristiche nella Basilica vaticana presiedute ogni giorno da un porporato. In quei giorni il Cardinale Ratzinger lavorava non più in ufficio ma da casa, perché con la morte del Pontefice era scaduto il suo incarico, per legge, come anche per tutti gli altri Prefetti delle varie Congregazioni. Mi telefonava quando aveva bisogno di me. Ci siamo visti ogni giorno, ma solo brevemente per prendere ordini e le necessarie comunicazioni. Durante tutto il periodo del pre-Conclave l'ho visto raccolto, serio e silenzioso». Nel suo libro, «Nient'altro che la verità», lei ricorda che nel pomeriggio di quel 19 aprile, prima dello scrutinio pomeridiano in cui sarebbe stato eletto al Soglio di Pietro, il Cardinale era particolarmente immerso nei suoi pensieri e nella preghiera e volle percorrere a piedi la strada da Santa Marta - dove i porporati erano alloggiati nella più assoluta clausura - fino alla Cappella Sistina. Secondo Lei era cosciente di quanto stava per accadere? «Quel giorno il Cardinale mi ha chiesto di accompagnarlo a piedi alla Cappella Sistina per lo scrutinio pomeridiano. Non voleva prendere l'autobus, come gli altri Cardinali. La passeggiata da Santa Marta alla Cappella Sistina è breve, c'è una distanza di circa 500 metri. Per la strada non ha detto neanche una parola. Ovviamente non mi sono permesso di interrompere il silenzio. Ma quel silenzio era più eloquente di tante parole. Man mano mi sono accorto che il suo cuore era agitato, stava riflettendo, lottando, temendo, soffrendo. Fare alcuni passi in questo stato d'animo gli fa bene, pensavo. Camminando mi sono reso conto che il motivo della passeggiata poteva essere uno solo, cioè il prossimo scrutinio! Avrebbe potuto portare un risultato definitivo, ed egli vedeva crescere il 'rischio' che lui stesso uscisse dal Conclave come il nuovo Papa. Questa preoccupazione gli ha torturato e rubato la pace del cuore. Nella prima udienza pubblica da Pontefice, quando usò la metafora della 'ghigliottina' riguardo la sua elezione, ha confermato in un certo modo tale presentimento». All'epoca di quel Conclave molti vaticanisti e osservatori delle cose ecclesiastiche scrissero che l'omelia pronunciata il 18 aprile nella Missa Pro Eligendo Romano Pontifice dal Cardinale Ratzinger in qualità di Decano del Sacro Collegio avrebbe potuto precludergli l'elezione per le parole molto forti e nette contro quella che il futuro Pontefice definì «dittatura del Relativismo». Ovviamente si sbagliavano e forse proprio quell'omelia convinse tutti che la Chiesa aveva ancora bisogno di lui. «L'omelia del 18 aprile è una delle più evidenti testimonianze di quanto è vero il suo motto episcopale 'Cooperatores veritatis'. Non era un'omelia strategica, per guadagnare applausi o attirare attenzione sulla sua persona, no, tutt'altro. Lui ha aperto il cuore e ha espresso in modo inequivocabile ciò che riteneva fondamentale per la vita della Chiesa. In quel momento, vedeva la Fede e la Chiesa davanti ad una delle più pericolose sfide, che lui stesso definiva come 'dittatura del relativismo', vale a dire la negazione della Verità come annunciata e prescritta nella Dottrina. Chi conosceva le convinzioni del teologo Ratzinger non poteva essere sorpreso della chiarezza e fermezza di quell'omelia. Ciò che ha scritto, ciò che ha ribadito in tanti occasioni, lo ha sintetizzato in quelle parole: è proprio la quintessenza del suo pensiero». Pochi giorni fa, il 2 aprile, abbiamo ricordato con il Cardinale Stanislaw Dziwisz l'anniversario della morte di San Giovanni Paolo II a cui il Cardinale Ratzinger, poi chiamato a succedergli, era legatissimo. Come descriverebbe l'intenso rapporto di stima e collaborazione che ha legato per tanti anni queste due figure gigantesche? «Ho iniziato a lavorare nella Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1996. Subito ho potuto percepire un rapporto particolare fra Papa Giovanni Paolo II e il Cardinale Ratzinger. Ci sono tanti elementi che potrei elencare, tanti avvenimenti, tante esperienze che mi hanno fatto capire che non si può parlare solo di una collaborazione, ma proprio di una relazione strettissima, caratterizzata da grande stima e fiducia reciproca. Il motivo di questo intenso rapporto personale era, da come l'ho visto e vissuto io, una piena sintonia nella fede e nell'amore verso Cristo e la sua Chiesa». La tomba del Santo Padre Benedetto XVI è meta costante di pellegrinaggio per tantissimi fedeli; già subito dopo la morte, avvenuta il 31 dicembre 2022, la Basilica di San Pietro fu, per così dire, «invasa» da migliaia di persone che volevano rendergli un ultimo omaggio. Lei si aspettava quella enorme ondata di affetto dopo quasi dieci anni dalla Rinuncia al ministero petrino? «Sarò sincero: sono stato sorpreso e commosso. Ho notato che i fedeli volevano congedarsi dal defunto Pontefice, dargli un ultimo saluto, pregare per lui e ringraziarlo per il servizio come 'umile lavoratore nella vigna del Signore'. Nella Basilica di San Pietro si è diffusa proprio un'ondata di grande affetto. Vorrei raccontare un episodio toccante. Una semplice persona che non conoscevo, dopo aver pregato davanti alla salma del Papa, è venuta da me e ha detto: sono venuto per ringraziare Papa Benedetto per la sua testimonianza della fede, per la sua parola confortante, per la sua mitezza umana, per il suo amore per Cristo e la Chiesa. La presenza di così tante persone era un forte segnale visibile che Benedetto XVI non era e non è stato dimenticato». Oltre alle decine di opere fondamentali per chiunque voglia studiare la Teologia, alle importantissime Encicliche, alle centinaia di discorsi raffinatissimi e ai numerosi testi sempre attuali di Joseph Ratzinger, che eredità morale e spirituale ha lasciato Benedetto XVI? «La sua eredità morale e spirituale è ancora tutta da scoprire. Una traccia si trova già nell'omelia della messa dell'inizio del pontificato, il 24 aprile 2005 in Piazza San Pietro. Non enunciò un 'programma di governo', come specificò, ma volle piuttosto mettersi in ascolto della Parola di Dio e lasciarsi guidare la lui. È proprio questo, il Primato di Dio, che ha caratterizzato i suoi anni da Pontefice. Proprio lì è nascosto il 'programma di governo' e la chiave della giusta comprensione dell'opera di Benedetto XVI».
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